Assobiomedica ha diffuso i dati del “Rapporto su produzione, ricerca e innovazione nel settore dei dispositivi medici in Italia”, curato dal Centro studi dell’Associazione che rappresenta le imprese che forniscono alle strutture sanitarie italiane – pubbliche e private – dispositivi medici.

Sono 216 le imprese di dispositivi medici che hanno chiuso negli ultimi 3 anni in Italia; e con la crisi economica si stima che gli investimenti in ricerca nel nostro Paese si siano ridotti del 28%, passando da 635 milioni del 2010 a 458 milioni del 2011.

Eppure il settore potrebbe fungere da traino per la crescita non solo perché investe in ricerca e innovazione tecnologica, ma anche perché la domanda esterna continua a crescere: nel 2012  si stima che le esportazioni siano cresciute  del 9,6%, a fronte di una contrazione della domanda pubblica interna del  5% e di quella privata dell’  1%.
«Gli investimenti in ricerca – ha dichiarato Stefano Rimondi, presidente di Assobiomedica – rendono il nostro settore vivo e competitivo, oltre a contribuire a innovare la Sanità e a migliorare la qualità della vita dei cittadini. Il calo registrato dalla domanda pubblica è un dato sconfortante che dimostra come il Servizio sanitario nazionale stia pian piano rinunciando a investire in innovazione tecnologica a discapito della qualità della cure dei cittadini. È importante ricominciare a crescere, anche puntando a promuovere una domanda pubblica in tecnologie sanitarie che premi l’innovazione».
«L’Italia – ha continuato Rimondi – è un paese che ha enormi potenzialità in campo medico-scientifico grazie a un’ottima classe medica e a un’industria che produce tecnologie di livello, oltre a una gran quantità di laboratori di ricerca pubblica. Se questi soggetti fossero messi in condizione di fare sistema, creando delle reti nazionali di eccellenza, che riuniscano i migliori poli per specifiche competenze, si metterebbe un primo tassello per la crescita e la creazione di nuovi posti di lavoro. È quanto mai necessario oggi fare in modo che, con una strategia di coordinamento centrale, si crei un’interazione viva e produttiva tra industria e laboratori di ricerca, che permetta di non disperdere le risorse e le potenzialità a livello locale e dia maggiori possibilità a queste realtà di accedere ai finanziamenti pubblici».
Secondo Rimondi è importante tornare a crescere puntando anche sulle start-up e introducendo, come hanno già fatto in paesi come Francia e Belgio, lo status di “impresa innovativa” in settori industriali ritenuti strategici. «Il Governo – ha concluso Rimondi – aveva promesso agevolazioni per le start-up, sarebbe bene che venisse incontro concretamente a queste realtà, introducendo un credito d’imposta stabile per i prossimi 10 anni con meccanismi di valutazione che premino la produttività degli investimenti e trattengano risorse qualificate nel nostro Paese».