Mangiare pesce due o tre volte alla settimana, riducendo il consumo di carne e latticini, contribuisce a proteggerci dal rischio di malattie cardiovascolari. L’effetto protettivo è dovuto alla presenza degli acidi grassi omega-3.

Ma quanto possiamo sentirci sicuri mangiando pesce?

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I dati del rapporto sul sistema di allerta rapido comunitario RASFF, pubblicato dalla Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli Alimenti e la Nutrizione sul sito del Ministero della Salute, non sono molto confortanti.

Il RASFF consente di notificare, in tempo reale, i rischi diretti e indiretti per la salute pubblica correlati ad alimenti, mangimi e materiali a contatto e quindi adottare tempestivamente le opportune misure di salvaguardia e comunicarle a tutti i membri del network.

Delle oltre 3000 notifiche di irregolarità ricevute lo scorso anno, anche se in diminuzione rispetto al precedente, la maggior parte riguardano i prodotti della pesca. La tipologia del rischio è risultata abbastanza eterogenea, anche se le maggiori irregolarità derivano da contaminazioni microbiologiche, in particolare da E. coli (31% delle segnalazioni), Listeria (44%),  Norovirus (89% quasi tutte le segnalazioni interessano i molluschi bivalvi e quindi cozze vongole). Sono state anche riscontrate contaminazioni da Salmonella (3%), anche se con un’incidenza decisamente inferiore rispetto alla carne e prodotti a base di carne (40%). Oltre a virus e batteri, sono stati segnalati casi di contaminazione da anisakis, un nematode normalmente presente come parassita intestinale in numerosi mammiferi marini (delfini, foche, etc.) e ospite intermedio, nel suo stadio larvale, di molti pesci tra cui tonno, salmone, sardina, acciuga, merluzzo, nasello e sgombro.

Se per eliminare il rischio di contagio da batteri e parassiti è sufficiente la cottura, questa si rivela non efficace per altri tipi di contaminazioni. È il caso ad esempio dei metalli pesanti, di cui i più frequenti sono mercurio (123), cadmio (44), arsenico (23) e piombo (11). A proposito della contaminazione da mercurio, Efsa nell’ultimo parere scientifico al riguardo, suggerisce come metodo più efficace per ridurre i rischi associati all’assunzione di questo metallo pesante tramite la dieta di “limitare il consumo di pesci e molluschi ad elevato contenuto di metilmercurio, in particolare pescespada, luccio, tonno e nasello”. Va detto però che i metalli pesanti non sono stati riscontrati solo nel pesce, ma, con un’incidenza decisamente inferiore, anche nei cibi dietetici e negli integratori alimentari (11/285 segnalazioni).

Ma la lista non è finita, perchè nei prodotti della pesca (71/98 casi) è stata anche segnalata la presenza di residui di farmaci veterinari e anche di additivi e coloranti alimentari (11%). Quest’ultima categoria di rischio riguarda in realtà soprattutto frutta e verdura (42%).

Per concludere non può mancare una riflessione. I prodotti della pesca hanno raccolto il maggior numero di notifiche secondo il RASFF. La carne degli animali da allevamento, secondo quanto recentemente dichiarato da Efsa, può trasmettere resistenza agli antibiotici; nella frutta e verdura possono essere presenti residui di fitofarmaci e anche additivi alimentari; alcuni cereali e la frutta secca sono a rischio di contaminazione da aflatossine.

Cosa ci rimane?

Per approfondire

 Relazione sul sistema di Allerta Europeo-Anno 2014