Boehringer Ingelheim e Eli Lilly and Company hanno annunciato in un comunicato stampa i risultati top-line dello studio EMPA-REG OUTCOME®, che indaga gli effetti di empagliflozin, su oltre 7000 pazienti con diabete di tipo 2 ad alto rischio di eventi cardiovascolari.

Diabete di tipo 2: empagliflozin ha dimostrato di ridurre il rischio cardiovascolare in pazienti ad alto rischio di eventi cardiovascolari
Diabete di tipo 2: empagliflozin ha dimostrato di ridurre il rischio cardiovascolare in pazienti ad alto rischio di eventi cardiovascolari

Lo studio è stato completato, ha raggiunto l’endpoint primario e ha dimostrato la superiorità di empagliflozin, in aggiunta alla terapia standard, nel ridurre il rischio cardiovascolare.

Empagliflozin ha ridotto significativamente il rischio di morte cardiovascolare, infarto non fatale o ictus non fatale del 14% rispetto al placebo. Il rischio di morte cardiovascolare è stato ridotto del 38%, con nessuna differenza significativa nel rischio di attacco cardiaco non fatale o ictus non fatale. Il trattamento con empagliflozin ha anche ridotto del 32% il rischio di mortalità per qualsiasi causa e del 35% il rischio di ospedalizzazione per insufficienza cardiaca.

Empagliflozin

Empagliflozin è un inibitore reversibile, competitivo e selettivo del cotrasportatore sodio-glucosio 2 (SGLT2).
L’inibizione del SGLT2, nei pazienti con diabete di tipo 2 e iperglicemia, determina il calo del riassorbimento renale del glucosio e l’aumento di escrezione di glucosio nell’urina e quindi una diminuzione della glicemia che si verifica immediatamente dopo l’assunzione, per via orale, della prima dose di empagliflozin. L’azione persiste per l’intero intervallo di 24 ore prima della dose successiva.
Il meccanismo d’azione di empagliflozin, cioè l’inibizione del co-trasportatore sodioglucosio di tipo 2, è indipendente dalla funzionalità delle cellule beta pancreatiche e dall’azione dell’insulina.
La glicosuria osservata con empagliflozin causa una perdita di calorie ed è accompagnata da lieve diuresi, che può determinare una riduzione moderata e sostenuta della pressione arteriosa.
La IC50 dimostrata è di 1,3 nmol.
Empagliflozin orale è approvato in Europa, negli Stati Uniti e in altri Paesi per il trattamento di adulti con diabete di tipo 2.
Empagliflozin non va assunto da pazienti con diabete di tipo 1, né come trattamento della cheto acidosi diabetica (aumento dei chetoni nel sangue o nelle urine).

Lo studio clinico EMPA-REG OUTCOME su empagliflozin

EMPA-REG OUTCOME è uno studio clinico a lungo termine di fase III, multicentrico, randomizzato, in doppio-cieco, controllato verso placebo che ha coinvolto oltre 7000 pazienti con diabete di tipo 2 e con scarso controllo glicemico ad alto rischio di eventi cardiovascolari di 42 Paesi (osservati per una durata mediana di 3,1 anni).

Il disegno dello studio prevedeva la valutazione dell’effetto di empagliflozin (10 mg o 25 mg una volta al giorno) sugli eventi cardiovascolari verso placebo, associati alla terapia standard, che comprendeva agenti ipoglicemizzanti e farmaci utilizzati per patologie cardiovascolari, inclusi gli antiipertensivi e ipolipemizzanti (statine).

Lo studio è stato disegnato per la valutazione della non-inferiorità e, se soddisfatta, della valutazione di superiorità.

L’endpoint primario, che era rappresentato dal tempo intercorso fino al primo di uno dei seguenti eventi: morte per cause cardiovascolari, infarto miocardico non fatale o ictus non fatale, è stato raggiunto in una percentuale significativamente inferiore di pazienti nel gruppo empagliflozin (490 di 4687 [10,5%]) rispetto al gruppo placebo (282 di 2333 [12,1%]).

L’endpoint secondario è stato raggiunto in 599 dei 4687 pazienti (12,8%) nel gruppo empagliflozin e 333 di 2333 pazienti (14,3%) nel gruppo placebo (hazard ratio 0,89; 95% CI, 0,78-1,01; p < 0,001 per la non inferiorità e P = 0,08 per la superiorità).

Rispetto al placebo, empagliflozin ha determinato un rischio significativamente più basso di morte per cause cardiovascolari (hazard ratio 0,62; 95% CI, 0,49-0,77; p <0,001), morte per qualsiasi causa (hazard ratio 0,68; 95% CI, 0,57-0,82, p < 0,001) e ospedalizzazione per insufficienza cardiaca (hazard ratio 0,65; 95% CI, 0,50-0,85; p = 0,002).

Sottoanalisi predeterminate dello studio evidenziano che, nel tempo mediano di 3,1 anni, empagliflozin ha ridotto significativamente, del 14% verso placebo, il rischio di decesso per causa cardiovascolare o infarto del miocardio non-fatale o ictus non-fatale.

La riduzione del rischio di mortalità cardiovascolare è stata del 38%, senza alcuna differenza significativa nel rischio di infarto non-fatale o ictus non-fatale.

Il trattamento con empagliflozin ha comportato anche la riduzione del rischio di mortalità per tutte le cause del 32% e del rischio di ricovero per insufficienza cardiaca del 35%.

Il profilo di sicurezza di empagliflozin in questo studio è risultato in linea con quanto emerso in studi precedenti.

L’incidenza di chetoacidosi diabetica è stata pari o inferiore allo 0,1% e simile in tutti i gruppi in trattamento.

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