Gilead ha annunciato in un comunicato stampa di aver promosso un incontro dal titolo: “Epatite C in Italia, identikit di una malattia in via di eradicazione” nel quale gli esperti hanno fatto il bilancio a più di un anno dalla disponibilità nel nostro Paese delle nuove terapie ad azione antivirale diretta che sono in grado di modificare radicalmente la storia naturale dell’epatite C con la possibilità di guarigione di oltre il 95%.
«Ora che siamo in procinto di uscire da questa prima fase di urgenza, dobbiamo prepararci a riprogrammare l’accesso alle cure e stabilire altri parametri, riproducibili ed etici, per fronteggiare una grande popolazione di pazienti con vari gradi di malattia – afferma Stefano Fagiuoli, direttore Unità complessa di gastroenterologia, epatologia e trapiantologia ASST Papa Giovanni XXIII, Bergamo. – La possibilità di “differire” ossia ritardare l’inizio della terapia (informed deferral) potrebbe essere una strategia terapeutica con l’obiettivo di garantire un accesso graduale alle cure trattando i pazienti prima che sviluppino un quadro clinico grave. Pertanto, il paziente dovrà essere valutato sia in base al rischio clinico specifico per HCV, ma anche a fronte di tutta una serie di fattori concomitanti quali comorbidità, obesità, ipertensione, diabete, ma anche al suo profilo psicologico e sociale che ci permette di capire se il paziente è in grado di attendere l’inizio della terapia».
Oltre al l’informed deferral, il long term-benefit dovrebbe essere l’altra parola chiave degli esperti per programmare l’accesso alle cure nel futuro e il principio che tiene conto dell’impatto che i trattamenti hanno sulla sopravvivenza del paziente e quindi il risparmio di decenni di medicalizzazione che soprattutto la cura dei più giovani comporta. «Finora abbiamo trattato i pazienti in base alla gravità della malattia, tuttavia ci sembra ovvio che il beneficio clinico globale ottenuto da questi pazienti è spesso inferiore a quello che otterremmo curando giovani con malattia epatica iniziale – precisa Massimo Colombo, direttore Dipartimento di Medicina Specialistica e dei Trapianti d’Organo, Ospedale Maggiore, Università degli Studi di Milano – Rimane tra l’altro aperta questione dei benefici clinici relativa alla prevenzione o reversione dello scompenso, e la riduzione dei tassi di mortalità, trapianto e sviluppo di tumore epatico per i quali abbiamo a disposizione ancora dati molto limitati con i farmaci antivirali diretti in termini di campionatura e durata di osservazione».
In Italia la mortalità causata da HCV è pari a circa 10.000 casi all’anno.
«Il razionamento dei farmaci innovativi è riconducibile all’introduzione di un paradigma curativo inedito per il nostro SSN ovvero ‘curare solo i malati più gravi’ – commenta Ivan Gardini, Presidente Epac Onlus. – Limitare a tempo indeterminato l’accesso alle cure innovative genera distorsioni e anomalie, come il turismo farmaceutico, ovvero pazienti che si recano in India, Egitto, Bangladesh per acquistare farmaci generici. Riteniamo che sia giunto il momento di gestire diversamente l’accesso ai farmaci, tramite l’abbattimento delle limitazioni di accesso pur mantenendo linee guida basate sull’urgenza clinica e sociale, lasciando al medico la possibilità di decidere chi curare prima. Tra l’altro, secondo una nostra stima, sono circa 160/180.000 i pazienti diagnosticati con HCV ed eleggibili ad un trattamento antivirale con i farmaci innovativi, numeri diversi da quelli sempre divulgati, (700.000 – 1.000.000 pazienti) che includono anche le stime del “sommerso” ovvero pazienti che devono ancora scoprire l’infezione. Questi numeri sono basati su studi epidemiologici di 20 anni fa, ormai obsoleti, e poiché un budget impact nazionale si dovrebbe basare sui pazienti noti e non su quelli supposti, pensiamo di avere offerto un contributo importante per meglio definire la coorte dei pazienti da curare subito».
Esistono categorie di pazienti che meritano un’attenzione particolare in termini di prevenzione e di cura, magari perché a più alto rischio di trasmissione dell’infezione?
«Da un punto di vista epidemiologico e di sanità pubblica occorrerebbe prendere in considerazione le categorie con un’alta probabilità di trasmettere il virus a persone siero-negative: stiamo parlando di tossicodipendenti per via venosa e di persone in regime di detenzione – afferma Massimo Andreoni, direttore U.O.C. Malattie Infettive e Day Hospital Dipartimento di Medicina, Policlinico Tor Vergata, Roma – L’infezione da epatite C colpisce il 32,1% delle persone in regime di detenzione che appaiono oggi come la prima emergenza sanitaria da affrontare anche in considerazione del fatto che l’epatite cronica attiva evolve in cirrosi epatica».
Continua Andreoni: «Ricordiamo tra l’altro che queste persone sono generalmente co-infette HIV-HCV, hanno altre co-morbosità e sono costrette ad assumere numerosi i farmaci che possono portare problemi di aderenza alla terapia e di interazioni farmacologiche spesso difficili da prevedere, quindi sono pazienti che necessitano un monitoraggio molto attento. In generale, comunque, i pazienti coinfetti HIV-HCV sono pazienti a più alto rischio di progressione di malattie epatiche, ma anche di malattie extra epatiche (cardiovascolari, renali, ossee e del sistema nervoso centrale), rispetto al paziente mono infetto, quindi necessitano di un trattamento in fase più precoce per il controllo dell’infezione da HCV».
Le strategie terapeutiche per fronteggiare il futuro, la complessità dell’HCV e della tipologia di pazienti mette dunque alla prova i clinici, ma anche tutti gli stakeholders che si interrogano sui principi di accesso, ma anche di eticità e di presa in carico del paziente.
«Un patto sociale fra istituzioni, associazioni pazienti, enti regolatori e centri che erogano queste nuove terapie è a questo punto fondamentale perché serve per spiegare ai pazienti in attesa trepidante del farmaco che saranno trattati, ma a tempo debito – aggiunge Fagiuoli – Infatti, trattare tutti i pazienti subito non sarebbe sostenibile né da un punto di vista dell’assistenza sanitaria in termini di risorse umane presenti nei dei centri di cura che si prendono in carico il paziente (il ritmo con cui possiamo trattare i pazienti con HCV è quello attuale), né dal punto di vista economico anche perché, oltre all’HCV, ci sono altre malattie da curare che non possono essere trascurate».
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