Sviluppare strategie “centrate” sul paziente, non paziente-centriche: una sottolineatura, quella portata dal presidente dalla European Society for Person Centred Healthcare, Sir Jonathan Asbridge, che ha fatto da trait d’union alle sessioni di eyeforpharma Barcelona 2017 dedicate alle collaborazioni e al coinvolgimento dei pazienti.

Entrare nei panni del paziente

La cosa più difficile, per chi opera nell’industria del farmaco, è uscire dalla visione tradizionale dell’innovazione che parte dall’interno dell’azienda per aprirsi a quella propria del paziente. Una visione che potrebbe anche risultare radicalmente diversa e portare a soluzioni ardite ma che potrebbero essere a portata di mano di chi è in grado di uscire dagli stereotipi.
Il responsabile della Global Innovation di UCB, Gregory Miller, ha citato l’esempio di GE Healthcare, che ha aperto un nuovo ramo di business semplicemente “rivestendo” le classiche apparecchiature per la risonanza magnetica con scenografie in grado di far vivere avventure in un mondo fantastico ai bambini-pazienti, invece che incutere paura per l’esame medico.
I piani di sviluppo pediatrico sono ormai entrati nella routine, ma cosa chiedono davvero i bambini per vivere meglio la propria esperienza di malattia? “Vorrei una pastiglia invece che la puntura che devo fare ogni giorno, che a volte fa male“, è stata la richiesta che Sue (nome di fantasia) ha rivolto al pubblico di esperti riuniti nella convention di Barcelona. La bambina, soli dieci anni, è intervenuta al dibattito insieme alla madre Emma Sutcliffe, consultant director Patient engagement di Grunenthal, portando la sua testimonianza di paziente affetta da deficit dell’ormone della crescita. Sue è stata fortunata e si e potuta giovare della lunga esperienza in ambito farmaceutico della madre ma, come la mamma stessa ha sottolineato, molti altri genitori non hanno a disposizione le stesse competenze e relazioni per aiutare i figli.

Il viaggio nella malattia può causare molti altri fastidi ai bambini, oltre a quelli patiti da Sue per le punture o il monitoraggio della glicemia: l’impatto riguarda soprattutto le relazioni sociali del bambino. Sue, ad esempio, si è lamentata per la noia di sentirsi sempre chiedere, in modo particolare dai compagni di scuola, il perché è cosi piccola.

Le associazioni chiedono un coinvolgimento precoce nello sviluppo

La richiesta unanime dei rappresentanti delle varie associazioni di pazienti intervenute nel corso del dibattito è stata quella di tenere conto del punto di vista dei pazienti al centro del bisogno terapeutico fin della fasi più precoci di sviluppo di un nuovo prodotto.
Sarebbe importante per le aziende farmaceutiche capire meglio la prospettiva del paziente che, anche quando si trova a vivere situazioni fortemente debilitanti come l’Alzheimer, rimane a lungo in grado di portare il proprio contributo alla discussione, ha sottolineato Marc Wortmann, che dirige l’associzione Alzheimer disease international.

Per Natacha Bolanos le aziende farmaceutiche dovrebbero mostrare un maggior interesse verso il contributo che i pazienti potrebbero apportare nella messa a punto del disegno degli studi clinici, delle risposte ai quesiti clinici, all’ health technology assessment o alle linee guida. Punto sul quale stanno anche insistendo molto le varie autorità regolatorie, ha sottolineato la rappresentante della European cancer patient coalition.

Per Bolanos mancano ancora lo strutture e le linee guide necessarie per regolare questi processi, e gli enti regolatori attualmente non fanno differenza tra promozione e informazione. La situazione attuale, per quanto riguarda i pazienti con tumore, è molto frammentata a livello dei diversi paesi e delle diverse autorità regolatorie, e i progressi in questa direzione sono per Bolanos ancora molto lenti. Una posizione che ha trovato concorde anche la rappresentante di Myeloma patients Europe, Anna Rovira.

Jeff Gombala ha sottolineato l’importanza di capire il viaggio del paziente attraverso il trial clinico, in modo da sviluppare le strategie per supportarlo. Per il vicepresidente Digital strategy & technology di Medullan, comunicare il valore attraverso il data sharing rappresenta un’opportunità per l’intera comunità dei pazienti e per i servizi che gli ruotano attorno.

Le associazioni hanno lamentato la difficoltà spesso riscontrata di raccogliere tutti i dati dispersi, soprattutto per quanto riguarda la pubblicazione degli esiti degli studi clinici. Anna Rovira ha sottolineato la ritrosia delle aziende a condividere tali dati, un primo passo avanti che per i relatori sarebbe invece necessario per migliorare l’interazione tra le diverse  posizioni. Natacha Bolanos ha anche espresso l’importanza che i pazienti stessi imparino a condividere la propia esperienza all’ interno del trial, una esperienza che spesso impatta anche sulle loro famiglie.

Tutti i principali gruppi di pazienti hanno in essere progetti per migliorare l’aderenza alle terapie e l’auto-gestione delle stesse, un fattore essenziale per migliorare anche la qualità della vita una volta lasciato l’ospedale. La disponibilità di algoritmi simili a quelli usati dai medici per le scelte terapeutiche aiuterebbe le persone a meglio valutare come le diverse opzioni potrebbero impattare sulla propria vita, ha aggiunto Natacha Bolanos, e aiutarle a diventare migliori “pazienti“.

Sviluppare le linee guida insieme alle società scientifiche

Numerose associazioni di pazienti hanno già concluso accordi in tal senso, e il loro contributo potrà aiutare ad esempio a definire meglio i target terapeutici e i fattori che possono influenzare la gestione degli effetti collaterali, che secondo Bolanos non rappresentano invece un problema di per se. Ma bisogna parlare in modo molto concreto di come incorporare il contributo dei pazienti negli algoritmi, non rimanere solo sul piano astratto, ha aggiunto la voce dei pazienti con tumore.

Anna Rovira ha invece sottolineato come oggi le associazioni dispongano di tutte le competenze e figure professionali necessarie per essere considerate partner affidabili, qualcosa d’impensabile fino a soli dieci anni fa.

Le associazioni lamentano invece come le aziende arrivino spesso a loro con programmi pre-confezionati, un approccio che i pazienti non condividono in quanto non li rende partecipi. La richiesta è quella di partire dalla discussione della proposta iniziale per arrivare a costruire insieme l’intero progetto, meglio se senza l’intervento di aziende specializzate in ricerche di mercato che potrebbero, secondo Bolanos, introdurre bias in quanto tendono a non considerare i bisogni reali dei pazienti. Anche la gestione degli aspetti relativi alla gestione della privacy, alla proprietà dei dati e alla loro anomizzazione sono punti importanti su cui aziende e pazienti devono trovare un accordo per costruire partnership migliori.