Durante il convegno americano di neurologia AAN sono stati presentati nuovi dati su ocrelizumab per la sclerosi multipla recidivante che evidenziano riduzioni significative dell’attività di malattia e della progressione della disabilità

Durante il convegno americano di neurologia AAN sono stati presentati nuovi dati su ocrelizumab per la sclerosi multipla recidivante che evidenziano riduzioni significative dell’attività di malattia e della progressione della disabilità.

Durante il convegno americano di neurologia AAN sono stati presentati nuovi dati su ocrelizumab per la sclerosi multipla recidivante che evidenziano riduzioni significative dell’attività di malattia e della progressione della disabilità
Al 70° convegno annuale dell’Accademia Americana di Neurologia (AAN), Roche ha presentato i risultati ottenuti con ocrelizumab sull’attività di malattia e sulla progressione di disabilità

Roche ha annunciato che in occasione del 70° convegno annuale dell’Accademia Americana di Neurologia (Los Angeles, 21-27 aprile 2018), sono stati presentati nuovi dati su ocrelizumab.

Tali dati mostrano l’efficacia di ocrelizumab nella sclerosi multipla recidivante (SMR) in base a diversi parametri relativi a:

  • attività di malattia sottostante,
  • progressione della disabilità, tra cui risonanza magnetica, funzione cognitiva e biomarcatori di infiammazione e neurodegenerazione presenti nel liquido cefalorachidiano.

Ad aprile 2018, oltre 40.000 soggetti sono stati trattati con ocrelizumab in tutto il mondo.

Ocrelizumab è già stato approvato in più di 55 Paesi in Nord America, Sud America, Medio Oriente ed Europa orientale, nonché in Australia, Svizzera e Europa. In oltre 20 Paesi in tutto il mondo sono attualmente in esame domande di autorizzazione all’immissione in commercio.

Sintesi dei dati su ocrelizumab presentati al convegno 2018 dell’AAN

Da un’analisi sul periodo di estensione in aperto è emerso che quattro anni di trattamento continuo con ocrelizumab hanno comportato una riduzione sostenuta dell’attività di malattia sottostante nella SM recidivante (SMR).

Analisi aggiuntive hanno evidenziato che ocrelizumab ha ritardato il declino cognitivo e ha migliorato la funzione cognitiva nella SMR, secondo i risultati al Symbol Digit Modalities Test.

Dall’analisi ad interim di uno studio di fase III è emerso che ocrelizumab ha ridotto la presenza di biomarcatori di danno ai nervi e di infiammazione nei soggetti affetti da SMR.

I nuovi dati di sicurezza esposti al convegno AAN, relativi a 3.778 pazienti con sclerosi multipla recidivante e sclerosi multipla primariamente progressiva e a 9.474 anni-paziente di esposizione a ocrelizumab, in tutte le sperimentazioni cliniche condotte restano coerenti con il profilo beneficio-rischio favorevole del farmaco.

 

«I dati di ocrelizumab divulgati in occasione del convegno AAN evidenziano l’impatto esercitato da questa terapia diretta contro i linfociti B sul rallentamento della progressione della disabilità nella SM, avvalorando ulteriormente l’approccio del trattamento precoce. Negli studi di estensione, i pazienti trattati con ocrelizumab in modo continuativo hanno manifestato una progressione della malattia inferiore rispetto a quelli che hanno iniziato la terapia in un momento successivo – ha dichiarato Stephen Hauser, presidente del dipartimento di neurologia dell’Università della California, San Francisco, MD, presidente del Scientific Steering Committee degli studi OPERA e direttore del Weill Institute for Neurosciences. – È incoraggiante continuare a constatare un effetto solido e un profilo di sicurezza consistente dopo quattro anni di dati».

Dati sulla riduzione dell’attività di malattia sottostante la sclerosi multipla recidivante ottenuta con ocrelizumab

In una presentazione orale sono stati mostrati i dati relativi all’attività cerebrale alla RM misurata nel periodo randomizzato e nella fase di estensione in aperto (OLE) degli studi di fase III. Questi dati riguardano i benefici apportati da ocrelizumab nella riduzione dell’attività di malattia sottostante la SMR. Tali benefici si sono protratti per quattro anni di trattamento continuativo.

I pazienti che hanno proseguito la terapia con ocrelizumab hanno mantenuto, fino al secondo anno della fase OLE, un basso numero di lesioni in:

  • T1 captanti gadolinio (T1 Gd+) [0,017−0,00 lesioni T1 Gd+ per scansione],
  • T2 nuove e/o in espansione (T2 N/E) [0,052−0,072 lesioni T2 N/E per scansione].

I pazienti che sono passati dal trattamento con interferone beta-1a a ocrelizumab all’inizio del periodo OLE hanno evidenziato:

  • soppressione completa delle lesioni T1 Gd+ per scansione al primo e al secondo anno (0,48−0,00 lesioni T1 Gd+ per scansione),
  • riduzione delle lesioni T2 N/E per scansione pari all’85% al primo anno e al 96% al secondo anno (2,16−0,33 e 0,08 lesioni T2 N/E per scansione).

Analisi a quattro anni sul proseguimento della terapia con ocrelizumab fino al secondo anno del periodo OLE

Una seconda analisi a quattro anni presentata in un poster al convegno AAN ha dimostrato che i soggetti che hanno proseguito la terapia con ocrelizumab fino al secondo anno del periodo OLE hanno mantenuto bassi tassi annualizzati di recidiva (ARR) e una bassa progressione confermata della disabilità a 24 settimane (CDP24).

I pazienti che sono passati dal trattamento con interferone beta-1a aocrelizumab hanno manifestato una riduzione significativa dell’ARR e della CDP24 entro il primo anno, la quale si è mantenuta fino al secondo anno di trattamento.

Dati sulla performance cognitiva sul trattamento con ocrelizumab vs quello con interferone beta-1a

I nuovi dati sulla performance cognitiva, esposti in una presentazione orale, hanno evidenziato che, rispetto a interferone beta-1a, ocrelizumab nei soggetti affetti da SMR ha ridotto il rischio di deterioramento cognitivo confermato a 12 e 24 settimane (inteso come un deterioramento confermato di almeno quattro punti al Symbol Digital Modalities Test [SDMT]) del 38% e del 39% (rispettivamente p ≤ 0,001 e p = 0,002) durante il periodo di 96 settimane.

La compromissione cognitiva colpisce fino al 65% dei soggetti affetti da sclerosi multipla [v Rahn, K., Slusher, B., Kaplin, A. Cognitive Impairment in Multiple Sclerosis: A Forgotten Disability Remembered. Cerebrum. 2012 Nov-Dec; 2012: 14].

In una differente presentazione dei dati aggregati degli studi OPERA I e OPERA II, i soggetti affetti da SMR maggiormente esposti al rischio di progressione della malattia (in base a punteggi basali pari ad almeno 4 punti nella Expanded Disability Status Scale (EDSS) e 2 punti nei Pyramidal Kurtzke Functional Systems) e trattati con ocrelizumab hanno manifestato un miglioramento significativo della funzione cognitiva rispetto a quelli trattati con interferone beta-1a per 96 settimane (da intendersi come la percentuale di pazienti che hanno ottenuto un miglioramento ≥ 4 punti al test SDMT; 62,2% versus 46,5%; p = 0,009).

«Da questi dati emerge che ocrelizumab, oltre a ritardare l’insorgenza di deterioramento cognitivo documentato, potrebbe migliorare la funzione cognitiva nei soggetti affetti da sclerosi multipla – dichiara Stanley Cohan, MD, Ph.D., direttore medico del Providence Multiple Sclerosis Center, Portland, Oregon. – Tali dati avvalorano un potenziale ruolo di questa terapia nell’affrontare una delle manifestazioni più importanti, frequenti e impegnative della disabilità indotta da SM».

Dati sulla riduzione della presenza di biomarcatori di danno ai nervi e di infiammazione

In un’altra presentazione orale, ocrelizumab ha dimostrato a 12 e 24 settimane di ridurre la presenza di biomarcatori di danno ai nervi e di infiammazione presenti nel liquido cefalorachidiano (liquor), inclusi:

  • la concentrazione mediana di catene leggere dei neurofilamenti (NfL) (settimana 12: −24%, settimana 24: −47%),
  • il numero mediano di linfociti B CD19+ (settimana 12: −86%, settimana 24:−82%).

Questa analisi ad interim sui pazienti affetti da SMR del nuovo studio di fase III OBOE (Ocrelizumab Biomarker Outcome Evaluation) si aggiunge alle evidenze relative ai biomarcatori chiave nella sclerosi multipla. Tali biomarcatori potrebbero essere usati nelle ricerche future per valutare più rapidamente la nuova attività di malattia e il modo in cui i pazienti rispondono alle diverse terapie.

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