I dati a lungo termine sul trattamento precoce con ocrelizumab per la SM dimostrano la riduzione significativa del rischio di progressione della disabilità permanente sia nella sclerosi multipla recidivante (SMR) sia nella sclerosi multipla primariamente progressiva (SMPP). La riduzione del rischio di progressione della disabilità è associata a una esposizione più prolungata a ocrelizumab e a livelli più bassi dei linfociti B.

I nuovi dati sono stati presentati al Congresso AAN e sottolineano un profilo beneficio-rischio coerente e favorevole.

Presentati nuovi dati a lungo termine sul trattamento precoce con ocrelizumab per la SM multipla recidivante e primariamente progressiva
Presentati nuovi dati a lungo termine sul trattamento precoce con ocrelizumab per la SM multipla recidivante e primariamente progressiva

Roche ha presentato al 71° Congresso Annuale dell’American Academy of Neurology (AAN), (Filadelfia, 4-10 maggio 2019), i nuovi dati di ocrelizumab nel trattamento della sclerosi multipla recidivante (SMR) e primariamente progressiva (SMPP). Le nuove analisi condotte dimostrano che la capacità di ocrelizumab di ridurre il rischio di progressione della disabilità è associata a una esposizione più prolungata al trattamento e a livelli più bassi dei linfociti B, ed evidenziano l’impatto positivo di ocrelizumab nel ridurre significativamente la progressione della disabilità.

Con un’esperienza nella pratica clinica in rapido incremento e con oltre 100.000 persone con SM trattate in tutto il mondo, ocrelizumab è la prima e unica terapia con una somministrazione semestrale approvata per le due i sclerosi multipla:

  • sclerosi multipla recidivante (SMR), cioè SM recidivante remittente (SMRR) e SM secondariamente progressiva attiva o con recidive (SMSP),
  • sclerosi multipla primariamente progressiva (SMPP).

Inoltre, i nuovi dati sulla sicurezza, relativi a 4.501 pazienti con SMR e SMPP per un’esposizione totale a ocrelizumab pari a 12.559 anni-paziente in tutti gli studi clinici, si mantengono coerenti con il profilo beneficio-rischio favorevole del farmaco.

«Quelli presentati sono i primi dati che dimostrano come una esposizione più prolungata a ocrelizumab è associata a un maggior controllo della progressione della disabilità e questo senza avere un impatto sul profilo di sicurezza – afferma Giancarlo Comi, professore onorario di Neurologia presso l’Università Vita e Salute e direttore dell’Istituto di Neurologia Sperimentale, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano. – Questi dati, in linea con i risultati dei trial registrativi, costituiscono un argomento fortemente a favore dell’utilizzo del farmaco già dalle prime fasi della malattia e forniscono ai medici importanti informazioni fondamentali per orientare la scelta del trattamento più appropriato».

I nuovi dati relativi alle analisi di farmacocinetica, farmacodinamica e di esposizione dimostrano che una esposizione più prolungata a ocrelizumab è correlata con livelli più bassi di linfociti B e con una progressione della disabilità inferiore nelle persone con SM.

Nei pazienti con SMR, ocrelizumab, rispetto a interferone beta-1a, ha ridotto il rischio di progressione della disabilità confermata a 24 settimane (CDP24) per tutti i periodi di esposizione al trattamento; il rischio di progressione della disabilità è stato inferiore con una esposizione più prolungata a ocrelizumab.

Un andamento simile è stato osservato nelle persone con SMPP, nelle quali ocrelizumab ha ridotto il rischio di progressione della disabilità confermata a 24 settimane (CDP24) per tutti i periodi di esposizione al trattamento rispetto al placebo.

Nelle persone con SMR e SMPP, ocrelizumab ha ridotto le lesioni T1 captanti gadolinio e le lesioni T2 nuove/in espansione rilevate mediante risonanza magnetica (RM) a livelli quasi non misurabili, nelle persone con SMR, ha ridotto a livelli molto bassi i tassi annualizzati di recidiva (0,13-0,18) per tutti i periodi di esposizione al trattamento.

I dati di sicurezza sono rimasti coerenti per tutti i periodi di esposizione a ocrelizumab. Questo suggerisce che un’esposizione più prolungata al farmaco non aumenta la probabilità di eventi avversi.

Dati a lungo termine delle OLE degli studi OPERA I e II e ORATORIO

I dati a lungo termine, di oltre cinque anni, provenienti dalle estensioni in aperto (OLE) degli studi di fase III OPERA I, OPERA II e ORATORIO rispettivamente nella SMR e nella SMPP, dimostrano che il trattamento precoce con ocrelizumab riduce significativamente il rischio di progressione della disabilità permanente con un effetto che si mantiene nel tempo.

Nel periodo OLE di OPERA I e OPERA II, la percentuale di persone con SMR con progressione della disabilità confermata a 48 settimane (CDP48) è stata inferiore nel gruppo trattato con ocrelizumab in modo continuativo (per un totale di cinque anni) rispetto a coloro che erano passati ad ocrelizumab dopo due anni di trattamento con interferone beta-1a nel periodo in doppio cieco (per un totale di tre anni di trattamento continuativo con ocrelizumab) (10,4% vs. 15,7%; p=0,004).

Nel periodo OLE di ORATORIO, la percentuale di persone con SMPP con CDP a 48 settimane (CDP48) è stata inferiore nel gruppo trattato con ocrelizumab in modo continuativo per oltre cinque anni e mezzo rispetto a coloro che sono passati a ocrelizumab da placebo dopo il periodo di 120 settimane in doppio cieco (43,7% vs. 53,1%; p=0,03).

Risultati ad interim dello studio OBOE

Inoltre, i risultati ad interim dello studio di fase IIIb OBOE (Ocrelizumab Biomarker Outcome Evaluation) nelle persone con SMR, mostrano che ocrelizumab ha ridotto la presenza dei biomarcatori di danno neuronale e di infiammazione presenti nel siero e nel liquor alle settimane 12, 24 e 52.

«I dati ad interim dello studio OBOE, suggeriscono che ocrelizumab sia in grado di ridurre il danno assonale in corso di malattia e l’infiammazione compartimentalizzata, oltre a limitare il reclutamento di nuove cellule del sistema immunitario, responsabili di nuove lesioni nel SNC – afferma Carlo Pozzilli, responsabile del Centro Sclerosi Multipla dell’Ospedale S. Andrea di Roma. – Questi dati si aggiungono al crescente numero di evidenze che hanno l’obiettivo di identificare i biomarcatori di progressione di malattia nella SM e la loro significativa riduzione in corso di trattamento è un’ulteriore conferma del beneficio clinico dimostrato da ocrelizumab».

Ocrelizumab

Ocrelizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato, progettato per colpire in maniera selettiva le cellule B CD20+, un tipo specifico di cellule immunitarie considerate tra le principali responsabili del danno alla mielina (ovvero la guaina protettiva che ricopre le fibre nervose isolandole e fungendo loro da supporto) e all’assone (prolungamento del corpo cellulare di una cellula nervosa), che si osserva nella SM e che determina disabilità. Sulla base di studi preclinici, ocrelizumab si lega al recettore CD20, espresso sulla membrana di alcune cellule B, ma non sulle cellule staminali o sulle plasmacellule, consentendo così di preservare importanti funzioni del sistema immunitario.

Ocrelizumab viene somministrato per infusione endovenosa ogni sei mesi. La prima somministrazione viene effettuata con due infusioni da 300 mg a due settimane di distanza l’una dall’altra. Le successive somministrazioni avvengono con infusione singola da 600 mg.

Oggi ocrelizumab è approvato in 85 paesi tra Nord America, Sud America, Medio Oriente, Europa Orientale, Australia, Svizzera e Unione Europea.

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