Uno dei temi caldi che attendono la nuova Commissione europea che si insedierà a fine ottobre (o forse non prima di febbraio 2020, secondo le ultime notizie sul procedere dei negoziati) riguarda gli incentivi per la farmaceutica: un settore che negli ultimi mesi ha visto alcuni passi importanti nel senso di un’apertura al lancio di generici e biosimilari anche sul territorio Ue dal day-1 di scadenza dei brevetti dei prodotti originator – grazie all’approvazione dell’SPC manufacturing waiver (vedi qui) – e di una maggiore trasparenza nella negoziazione dei prezzi dei prodotti sanitari, derivante dall’approvazione da parte della World Health Assembly della risoluzione proposta dall’Italia (vedi qui).
In attesa che si definisca esattamente la composizione e il quadro politico della nuova Commissione, non mancano le prese di posizione, sia da parte dell’industria originator in difesa della protezione della proprietà intellettuale che di chi vorrebbe, invece, un’ancor maggiore trasparenza. Tra questi ultimi, il think tank Medicines Law & Policy (ML&P) ha pubblicato una serie di documenti di briefing che avanzano alcune proposte operative nel campo dei certificati di protezione complementare, dell’esclusività dei dati e dei medicinali orfani su cui avviare il confronto tra gli interessati. Il blog di Efpia, invece, ha ospitato un intervento dell’esperto della Banca europea degli investimenti (Bei) Ari-Pekka Laitsaari a sostegno dell’importanza di finanziare nuove idee passibili di brevettazione.
L’accesso alle cure, un problema di esclusività
Il problema fondamentale dell’assetto attuale, sostiene ML&P, andrebbe ricercato nello scontro che si viene a creare tra quella che l’osservatorio stima essere una situazione di fatto monopolistica per la produzione dei farmaci innovativi e le esigenze di accesso alle cure a prezzi sostenibili, che potrebbe implicare di dover attendere l’arrivo sul mercato delle versioni generiche degli stessi. L’obiettivo, quindi, dovrebbe essere quello di trovare il giusto equilibrio tra la remunerazione dell’innovazione e degli interessi delle aziende private e i benefici pubblici a livello di accessibilità e sostenibilità delle cure. Obiettivo peraltro già sancito nel 2016 da parte del Consiglio dell’Unione Europea ([2016] C269/31), che aveva previsto la possibilità di rivedere parte della legislazione farmaceutica.
Il report di ML&P non è certo tenero nel dipingere il quadro attuale, che sarebbe caratterizzato da una sovrapposizione di esclusività a livello regolatorio e brevettuale che provocherebbe vicendevoli blocchi. “Le aziende ottengono questi diritti senza bisogno di dimostrare che il loro turnover è insufficiente a recuperare gli investimenti e a farne di nuovi. La regola per i diritti esclusivi nell’Ue sembra essere guidata da una fede cieca nel fatto che l’esclusività è buona e più esclusività è meglio”, è la dura presa di posizione del documento.
I punti da considerare per migliorare la situazione
Il primo punto fondamentale da cui partire dovrebbe essere, per ML&P, un legame più chiaro ed evidente tra il rischio di R&D e le ricompense ad esso collegate. Non tutti gli sviluppi sono uguali e richiedono gli stessi livelli d’investimenti, infatti; secondo il think tank, i costi potrebbero venire alzati per sovrastimare il tempo di esclusività sul mercato necessario a rientrare dagli investimenti.
Inoltre, sottolinea il rapporto, le ragioni storiche alla base della concessione di lunghi diritti di esclusiva non sarebbero più valide, a favore invece di un approccio più razionale. Il livello “sufficiente” per le aziende produttrici, inoltre, dovrebbe essere basato sulla piena trasparenza dei prezzi e del pricing dei prodotti, e i paesi europei dovrebbero essere incoraggiati a porre proprio la trasparenza come uno dei requisiti per poter ottenere una protezione complementare.
La legge europea dei brevetti, spiega ML&P, è già sufficientemente flessibile da permettere il ricorso al compulsory licensing o a licenze concesse ai governi in caso di necessità urgenti di medicinali protetti da brevetto per ragioni di salute pubblica. Questo tipo di regolamentazione, quindi, non dovrebbe venire duplicato sul fronte regolatorio. I paesi terzi, infine, non dovrebbero essere forzati tramite accordi commerciali o d’investimento ad adottare misure più stringenti per la protezione della proprietà intellettuale di quelle richieste dai trattati WTO.
Gli interventi proposti sugli SPC
La concessione di un certificato di protezione complementare, suggerisce ML&P, potrebbe venire legata alla presentazione all’ufficio brevetti – e alla pubblicazione, per garantire la trasparenza del processo – di tutta la documentazione attestante i costi di sviluppo passati e futuri (tranne i fondi pubblici), e i ritorni attesi. I profitti dovrebbero venire verificati almeno sei mesi prima dell’effettiva entrata in vigore di un Spc, che potrebbe venire così confermato, o cancellato nel caso in cui i ritorni abbiano già ripagato i costi sostenuti dall’azienda. Una proposta alternativa prevede che i dati sui profitti effettivi nel periodo protetto dal brevetto base vengano forniti all’ufficio brevetti sei mesi prima dalla sua scadenza, per confermare o meno la necessità di un Spc. Anche parti terze potrebbero venire autorizzate a inviare “osservazioni” in tal senso all’ufficio brevetti prima dell’entrata in vigore di un Spc. La procedura di revoca di un certificato di protezione complementare, suggerisce ancora ML&P, dovrebbe essere estesa a tutti i paesi europei e includere anche la possibilità di ritorni sugli investimenti considerati sufficienti. E, come già detto, la concessione di un Spc potrebbe venire ulteriormente legata a un requisito di sostenibilità a livello di prezzo.
Compensazioni al posto di esclusività
Oggi i dati su un certo prodotto sono accessibili solo a chi li ha generati. Questo regime di esclusività dovrebbe cessare per ML&P, a favore di un focus maggiore sulla protezione dei dati, con un riconoscimento di tipo compensativo degli investimenti fatti per generarli. In questo modo, registrare un nuovo farmaco generico o biosimilare diventerebbe una normale pratica commerciale, in cui l’azienda originator riceverebbe una remunerazione per l’uso dei dati, che potrebbero essere utilizzati dalle agenzie regolatorie per la registrazione delle versioni generiche.
Deroghe adeguate alla normativa brevettuale dovrebbero essere previste sull’intero territorio Ue per i governi che vogliano utilizzare certi brevetti a fini di salute pubblica, sempre con previsione di un adeguato compenso per le aziende. Una misura che secondo ML&P faciliterebbe anche alcuni paesi nel garantire un più equo accesso alle cure senza pesare eccessivamente sui conti pubblici. E nessun richiamo all’esclusività dei dati dovrebbe essere presente negli accordi negoziali di commercio con altri paesi; l’attenzione dovrebbe essere posta, in questo caso, sul soddisfare i bisogni di R&D in campo medico e sui meccanismi per la condivisione dei benefici delle attività di ricerca.
Farmaci orfani: quando il guadagno è sufficiente?
Il punto chiave nel campo dei farmaci orfani sarebbe, secondo il rapporto di ML&P, quello di distinguere nettamente i livelli “sufficienti”, “insufficienti” ed “eccessivi” del ritorno sugli investimenti, respingendo il concetto di “tanto quanto il mercato può sopportare”. Un punto molto delicato, che secondo il think tank aiuterebbe anche a fare maggiore trasparenza all’interno delle istituzioni europee sui modelli di business delle aziende farmaceutiche.
Il rapporto suggerisce anche di rivedere la soglia di prevalenza per la definizione di farmaco orfano, ormai vecchia di vent’anni, alla luce dell’esperienza oggi disponibile, in quanto tale soglia è attualmente utilizzata per distinguere tra mercati che sono “assunti” o “dimostrati” non essere sufficientemente profittevoli dal punto di vista aziendale.
ML&P suggerisce che tutte le approvazioni di farmaci orfani seguano il criterio del ROI (return on investment), e che la designazione possa venir meno una volta raggiunto un profitto sufficiente. In alternativa, la designazione potrebbe decadere in caso di prezzo ingiustificato o profitto irragionevole, o potrebbe venire previsto un periodo di esclusività più breve, estendibile ove non siano stati raggiunti gli obiettivi economici previsti. Le proposte, sottolinea il rapporto, puntano anche a scongiurare un uso improprio degli incentivi previsti per lo sviluppo dei farmaci orfani. In caso di prodotti già utilizzati come “off-label”, inoltre, la registrazione del prodotto come farmaco orfano dovrebbe essere accompagnata da una remunerazione sul piano commerciale commisurata ai rischi e costi relativamente affrontati in questo caso.
Gli obiettivi della BEI in sostegno all’innovazione farmaceutica
La Banca europea degli investimenti – con € 700 milioni l’anno di venture debt investito – è la principale fonte di fondi per le piccole e medie imprese innovative che abbiano progetti in fase growth, spiega Ari-Pekka Laitsaar dal blog della Federazione europea delle associazioni dell’industria farmaceutica. Questo tipo d’investimento premette alle aziende di poter affrontare com maggiore tranquillità i round di finanziamento tipici della vita di una startup, senza il bisogno di cooptare all’interno del proprio board o struttura manageriale dei rappresentati degli investitori (e senza cessione di azioni), al contrario di quanto accade con i venture capital tradizionali. Un vantaggio, secondo Laitsaar, in quanto permette alle aziende di focalizzarsi sugli aspetti scientifici e di sviluppo dei propri prodotti, senza diluizione del valore della società. Secondo l’esperto, inoltre, la presenza della Bei agirebbe anche da segnale rassicurante e attrattivo nei confronti di altri possibili investori o partner.
Il campo delle life sciences, inoltre, si distingue da altri settori industriali per la criticità che la protezione della proprietà intellettuale (IP) riveste nelle valutazioni effettuate dagli investitori. L’IP è il cuore del business biofarmaceutico, e come tale è sottoposta a un’attenta analisi di robustezza del portfolio brevettuale nell’ambito della due diligence condotta dalla Bei a monte dell’erogazione dei finanziamenti. Questo è anche il motivo, spiega Ari-Pekka Laitsaar, per cui la Banca europea degli investimenti guarda con favore a incentivi che sostengano l’innovazione industriale, quali proprio i certificati di protezione complementare o la designazione come farmaci orfani. “Nonostante le incertezze associate con gli studi clinici e l’ottenimento dell’autorizzazione all’immissione in commercio – sottolinea l’esperto a questo riguardo -, ciò offre un certo grado di rassicurazione che i prodotti di successo riusciranno a coprire gli investimenti“.