«Non c’è vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare», diceva Seneca. Per tracciare la rotta e orientare le decisioni occorrono adeguati strumenti di valutazione, che in sanità sono rappresentati soprattutto dall’Health technology assessment (HTA). Un processo utile ad analizzare sicurezza, efficacia, costi, aspetti organizzativi ed etici delle tecnologie sanitarie, che risulta, però, più difficile da applicare quando si parla di “piccoli numeri”, come avviene nel caso delle malattie rare.

Il principale motivo di difficoltà deriva proprio dal fatto che per produrre report di HTA occorrono studi su ampi campioni di pazienti, ardui se non impossibili da realizzare nel caso delle patologie rare, caratterizzate per definizione da bassi livelli di prevalenza. A ciò si sommano poi altri problemi, come, ad esempio, quelli correlati all’eterogeneità delle manifestazioni cliniche, alla possibilità di effettuare studi in cieco, alla sicurezza dei dati e, quindi, alla privacy.

Nonostante tali ostacoli, l’applicazione dell’HTA all’ambito delle malattie rare risulta paradigmatica, in quanto anticipa problemi che saranno progressivamente sempre più diffusi in seguito all’avvento della medicina di precisione e delle advanced therapy, le cui condizioni di valutazione sono analoghe a quelle riscontrabili nelle patologie a scarsa prevalenza.

Proprio cogliendo questa sfida e guardando al futuro, sono state realizzate le valutazioni farmaco-economiche per quanto riguarda l’emofilia A e l’emofilia B, patologie rare del sangue causate dalla carenza rispettivamente del fattore VIII (FVIII) e del fattore IX (FIX) della coagulazione. In base all’entità della carenza, si distinguono forme gravi (in cui l’attività del fattore carente è inferiore all’1%), moderate (in cui il fattore è compreso tra l’1-5%), lievi (in cui il fattore è maggiore del 5% e inferiore al 40%).

Epidemiologia e sintomi

Secondo l’ultimo report del Registro nazionale delle coagulopatie congenite, pubblicato nel 2017 e relativo al 2016, in Italia la prevalenza dell’emofilia A è 6,9 su 100mila abitanti (14,1 su 100mila maschi). Risultano affetti dalla patologia 4.179 italiani, di cui 1.850 (44,3%) con forma grave, 572 (13,7%) con forma moderata, 1.757 (42%) con forma lieve (figura 1). Sono, inoltre, state segnalate 566 portatrici della malattia. La prevalenza dell’emofilia B (figura 2) è 1,5 su 100mila abitanti (3 su 100mila maschi). Risultano colpiti dalla malattia 898 italiani, di cui 314 (35%) con forma grave, 190 (21,1%) con forma moderata, 394 (43,9%) con forma lieve. Le portatrici sono 176.

Fonte: Registro Nazionale Coagulopatie Congenite. Rapporto 2017.

I sintomi delle due patologie possono essere di varia gravità: si va da ecchimosi ed ematomi di dimensioni ridotte a sanguinamenti articolari invalidanti, fino a emorragie estese che possono anche mettere a rischio la vita del paziente.

Gli unmet medical needs

Il cardine del trattamento dell’emofilia, sia A che B, è la terapia sostitutiva, che prevede la somministrazione endovenosa del fattore carente.

I regimi terapeutici in uso sono due:

  • on demand (al bisogno), ovvero in caso di sanguinamento in atto,
  • come profilassi, mirato cioè alla prevenzione dei sanguinamenti stessi.

Se la prima strategia può essere indicata per i casi di malattia lieve, la seconda rappresenta lo standard di cura per i pazienti con emofilia da moderata a grave.

I trattamenti di profilassi, pur presentando numerosi vantaggi dal punto di vista clinico, sono, però, gravati da due criticità:

  • lo sviluppo di inibitori, ovvero anticorpi (IgG) contro il fattore di coagulazione esogeno, che rischiano di invalidare la terapia;
  • l’elevata frequenza delle somministrazioni endovenose, a causa della breve emivita dei prodotti standard, che rischia di minare la qualità di vita dei malati costretti a sottoporsi quasi quotidianamente alle infusioni e può portare ad una ridotta aderenza alla terapia.

Ebbene, di fronte a questi unmet medical needs, di recente la ricerca ha fatto dei passi avanti per offrire ai pazienti nuove opportunità terapeutiche. Tra queste, si annoverano efmoroctocog alfa per l’emofilia A ed eftrenonacog alfa per l’emofilia B, fattori da DNA ricombinante a emivita prolungata.

Due molecole a emivita prolungata grazie alle tecnologia Fc

Efmoroctocog alfa è una proteina di fusione tra il fattore VIII e la porzione Fc delle immunoglobuline IgG1 umane (rFVIIIFc) prodotta con la tecnologia del DNA ricombinante in una linea cellulare embrionale di rene umano, senza l’aggiunta di proteine di origine animale nel processo di coltura cellulare.

La molecola è stata approvata dall’European Medicines Agency (Ema) nel 2015 e dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) nel 2016 sulla base di due studi clinici di fase 3, A-LONG e Kids A-LONG, condotti rispettivamente negli adolescenti e adulti, e nei bambini di età inferiore ai 12 anni, che hanno dimostrato la sicurezza, la tollerabilità e l’efficacia del farmaco, oltre all’emivita prolungata (extended half life); l’emivita prolungata di rFVIIIFc consente di somministrare il fattore ogni tre-cinque giorni, migliorando così l’aderenza al trattamento di profilassi e la qualità di vita dei pazienti. Il prolungamento dell’emivita è ottenuto proprio grazie alla tecnologia Fc, utilizzata nella sintesi di molecole terapeutiche anche per patologie croniche da oltre 20 anni.

Un successivo studio di estensione, chiamato ASPIRE, ha confermato gli esiti ottenuti dagli studi registrativi. Ulteriori dati real-life confermano i risultati nella pratica clinica. In particolare, nel Centro emofilia di Padova con l’impiego di efmoroctocog alfa il numero di infusioni è diminuito del 30% e si sono ridotte anche le unità internazionali di fattore VIII utilizzate. Nel Centro di Parma il numero di infusioni è diminuito del 40% e il consumo del fattore VIII del 13%.

Inoltre, sia medici che pazienti si sono dimostrati soddisfatti del trattamento. I primi hanno, infatti, riscontrato un’ottima compliance, la riduzione dei consumi e la possibilità di personalizzare la terapia in base alle caratteristiche, all’età e allo stile di vita degli assistiti, mentre i secondi hanno beneficiato del ridotto numero di infusioni, del miglioramento nell’accesso venoso, del maggiore senso di protezione.

Eftrenonacog alfa è, invece, una proteina di fusione tra il fattore IX (rFIXFc) e il frammento Fc, prodotta con la tecnologia del DNA ricombinante in una linea di cellule embrionali renali umane. La molecola è stata approvata dall’European Medicines Agency (Ema) nel 2016 e dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) nel 2017 sulla base di due studi clinici di fase 3, B-LONG e Kids B-LONG, condotti rispettivamente su adulti e adolescenti, e su bambini di età inferiore ai 12 anni, che hanno dimostrato l’efficacia, la sicurezza e la farmacocinetica del farmaco, oltre all’emivita prolungata (extended half life), che consente di somministrare il fattore ogni 7-10 giorni, e in alcuni pazienti fino ad ogni 14 giorni, migliorando così sia l’aderenza al trattamento di profilassi sia la qualità di vita dei pazienti.

L’Hta di efmoroctocog alfa

Su entrambe queste molecole sono stati condotti studi farmaco-economici. In particolare, efmoroctocog alfa è stata sottoposta a una valutazione completa post-commercializzazione attraverso un report di Health technology assessment realizzato dai ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e di recente pubblicato sui Quaderni dell’Italian Journal of Public Health (2019, volume 8, numero 3). Il documento “Valutazione di Health technology assessment (HTA) diefmoroctocog alfa (Elocta) per il trattamento dei pazienti affetti da emofilia A“, che rappresenta l’unica pubblicazione di Hta riguardante l’emofilia in Italia e una delle poche di questo tipo nell’ambito delle malattie rare, ha valutato le implicazioni cliniche, organizzative, economiche ed etiche dell’introduzione della molecola a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Sono state effettuate, in particolare, due valutazioni farmacoeconomiche: costo-efficacia e budget impact.

Costo-efficacia

L’analisi ha confrontato il rapporto costo-efficacia nei regimi di profilassi e on demand di efmoroctocog alfa rispetto a otto principali comparatori standard rFVIII, attraverso la costruzione di un modello di Markov con orizzonte temporale lifetime.

I risultati hanno dimostrato che efmoroctocog alfa risulta “dominante”, ovvero più efficace e meno costosa, rispetto alle altre molecole. Si tratta, quindi, come riportato nel report, di «un buon investimento in salute».

Budget impact

Questa analisi, costruita su un orizzonte temporale di tre anni (2019-2021), ha fornito importanti risultati per quanto riguarda i regimi sia di profilassi che on demand.

In profilassi, sono stati stimati i costi triennali, che ammontano a 484.360.242 euro nello scenario con efmoroctocog alfa e a 494.072.853 euro nello scenario senza efmoroctocog alfa (scenario di riferimento).

Il risparmio complessivo previsto per il Servizio sanitario nazionale è di 9.712.611 in tre anni a seguito dell’impiego incrementale di efmoroctocog alfa in sostituzione di altri fattori VIII da DNA ricombinante a emivita (rRVIII), mentre il risparmio stimato per paziente si attesta in media sui 4.685 euro annui.

Suddividendo poi i costi totali in costi di somministrazione e in costi correlati alla gestione dell’evento emorragico, emerge che il risparmio è dovuto più ai primi che ai secondi.

Nel regime al bisogno, sono stati, invece, stimati costi triennali che ammontano a 8.754.365 euro nello scenario con efmoroctocog alfa e a 9.465.148 euro nello scenario di riferimento senza efmoroctocog alfa. Il risparmio complessivo previsto per il servizio pubblico è, quindi, di 710.873 euro, mentre il risparmio stimato per paziente si attesta in media sui 442 euro all’anno ed è correlabile alla miglior gestione degli eventi emorragici.

In sintesi, il rapporto conclude che «l’introduzione graduale di rVIIIFc nella pratica clinica è associata a un risparmio crescente per il Servizio sanitario nazionale. Il risparmio medio per paziente è maggiore quando il farmaco viene utilizzato in profilassi».

Guardando al prossimo futuro, aggiunge, «è auspicabile la disponibilità di ulteriori HTA che coinvolgano sempre di più i diversi stakeholder e in particolare i pazienti, i familiari e le organizzazioni che danno voce alle loro istanze, nonché clinici e decisori sanitari, per disporre di dati sempre più affidabili e per identificare una linea strategica che definisca la capacità di promuovere e governare, nell’ottica della value based medicine, i processi che attraversano l’ideale percorso di gestione dell’emofilia A. Il tutto al fine di costruire un’offerta assistenziale in grado di dare risposte sempre più adeguate ai pazienti e alle loro famiglie».

Un plauso alla scelta di svolgere analisi di HTA anche nel caso delle malattie rare proviene da Marcello Pani, direttore dell’unità operativa complessa di Farmacia del Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs di Roma, che spiega: «Quanto emerso dallo studio evidenzia l’importanza dell’HTA nel processo di management sanitario, per ottenere una gestione ottimale in termini di bilancio economico, ma soprattutto per garantire prestazioni sanitarie che abbiano ricadute positive sulla qualità di vita dei pazienti. Infatti, le molteplici informazioni, di natura scientifica, economica, organizzativa, sociale, etica, derivanti da tali analisi e racchiuse nel report costituiscono un valido elemento sul quale i decisori possono fondare e orientare le loro scelte. In questo modo, l’HTA può assurgere al suo compito primario, costituendo un ponte tra il modello scientifico, orientato all’analisi delle tecnologie, e le attività decisionali, tese a valutare l’utilizzo efficace ed efficiente delle risorse che, nel settore sanitario, risultano sempre più limitate».

Analisi di budget impact di eftrenonacog alfa

Eftrenonacog alfa è stata sottoposta a un’analisi di budget impact realizzata dai ricercatori della società di consulenza Certara Italy e presentata, in forma di poster, e di presentazione orale (lo studio è stato inoltre selezionato tra i migliori lavori, al 40° Congresso nazionale della Società italiana di farmacia ospedaliera che si è svolto a Genova dal 21 al 24 novembre 2019).

«Abbiamo effettuato un’analisi economica di impatto di budget, indispensabile per i Decison Maker, a livello centrale e regionale/locale, per comprendere l’impatto dell’introduzione della nuova terapia nel setting di trattamento e per la conseguente allocazione del budget farmaceutico. », dichiara Patrizia Berto, uno degli autori dello studio e Country Head di Certara.

Lo studio, sviluppato sul triennio 2019-2021, ha stimato un totale di 333 pazienti eleggibili, stratificandoli in funzione della fascia di età (meno di 6 anni, tra i 6 e gli 11 anni, tra i 12 e i 17 anni, oltre i 18 anni) e ipotizzando per ogni fascia il peso medio di ciascun paziente.

Il modello ha considerato due farmaci a emivita prolungata, ovvero eftrenonacog alfa e albutrepenonacog alfa, e due a emivita standard, ovvero nonacog gamma e nonacog alfa, e ha poi confrontato lo scenario di riferimento (reference) con lo scenario alternativo (alternative), in cui si stima l’incremento delle quote di mercato di eftrenonacog alfa. In entrambi gli scenari, le quote di mercato dei trattamenti non cambiano in funzione dell’età. Nel primo scenario si stima una quota di mercato di eftrenonacog alfa costante nei tre anni e pari al 27,4%, nel secondo scenario si assiste, invece, a un incremento della quota di eftrenonacog alfa, con una percentuale variabile dal 33,5% nel 2019 al 46% nel 2021.

Nello studio viene stimata una spesa complessiva di 217.468.788 euro nello scenario reference e, in funzione del maggiore utilizzo di eftrenonacog alfa, di 215.684.045 euro nello scenario alternative.

I costi della profilassi rappresentano la maggior parte dei costi delle terapie in entrambi gli scenari (95,08% nel reference e 94,83% nell’alternative). In quest’ultimo scenario, a fronte di un maggiore impiego di eftrenonacog alfa (da 20 pazienti in più il primo anno fino a 62 in più nel terzo) si ottiene una riduzione di spesa di 293.396 euro nel 2019, di 577.292 euro nel 2020 e di 914.055 nel 2021, con una diminuzione complessiva nel triennio in esame pari a 1.784.743 euro.

Alla luce dei numeri, «l’incremento nell’utilizzo di eftrenonacog alfa in sostituzione degli altri rFIX – sia a emivita standard sia a emivita prolungata – per il trattamento dell’emofilia B può rappresentare una scelta economicamente vantaggiosa per il Servizio Sanitario Nazionale», conclude Berto, «con un rilevante risparmio complessivo, garantendo, nel contempo, un efficiente controllo dei sanguinamenti. In altre parole, impiegando la nuova molecola è possibile coniugare efficacemente innovazione e sostenibilità, a vantaggio della collettività».