Intelligenza artificiale. La coniazione del termine è di lunga data, risale a circa 70 anni fa, ma è entrato nel gergo comune e nella vita pratica mediamente 2 anni. Grazie a ChatGPT che ha reso l’Intelligenza Artificiale (AI) popolare. Strumenti di uso quotidiano, come Facebook, Instagram hanno al proprio interno un “core” generato dall’AI. Le enormi potenzialità di questa “intelligenza” non sono ancora note, da qui la necessità di conoscerla e utilizzarla con consapevolezza, quale possibile valore aggiunto per l’azienda, anche in ambito Pharma. Se ne è parlato all’evento annuale di IQVIA, Shaping the future, nel corso della relazione “La trasformazione digitale a servizio del cambiamento, il caso dell’AI”, moderata da Paolo Sciacca, Responsabile Divisione Progetti Speciali, Gruppo Editoriale Tecniche Nuove.
Simbolicamente, un’onda
È l’elemento naturale più calzante per descrivere impatto e influssi potenziali dell’AI: un’onda da cavalcare, senza lasciarsi travolgere, su una “tavola da surf”. Quest’ultima identificativa del giusto partner che può accompagnare nella scelta della migliore tecnologia applicativa della AI. «La tavola da surf – spiega Giuseppe Mayer, Artificial Intelligence and Corporate Communicator Professor allo IULM di Milano – consente di governare la tecnologia, finalizzandola al conseguimento degli obiettivi principali. La Gen -AI, l’Intelligenza Artificiale generativa, è una innovazione tecnologica rivoluzionaria, al pari di quanto ha rappresentato alle origini la scoperta e l’utilizzo del fuoco. Così come il fuoco ha reso l’umanità diversa e in grado di evolversi, anche questa tecnologia promette grandi cambiamenti e come il fuoco richiede una accurata conoscenza, per sfruttarne le potenzialità e limitare i rischi e i danni».
È già di uso quotidiano
Da tempo la Gen-AI ha fatto ingresso in azienda: una recente ricerca evidenzierebbe che il 55% delle persone nel proprio ambiente lavorativo e professionale, utilizza app di Gen-IA non approvate, inserendo cioè on essa dati non autorizzati dalla stessa azienda e che il 64% delle risorse in azienda farebbero passare il lavoro sviluppato dall’AI come proprio. «Una scelta pericolosa – prosegue Mayer – in quanto non si conoscono ancora tutte le potenzialità, compresi i rischi, di questa tecnologia che è, lo ricordiamo, probabilistica e non deterministica. Si avvale cioè anche di componenti statistiche. Un’altra ricerca americana attesta che i pazienti che ricorrono per qualche informazione a ChatGPT, lo ritengono più empatico del medico». Allora, qual è l’approccio più corretto per non farsi travolgere dall’onda della Gen-AI? Prevede tre caposaldi: la scelta del partner giusto, la definizione di una data governance, il miglioramento nell’utilizzo e nella conoscenza dello strumento.
Il partner giusto
È colui che consce il core business, il settore di attività e che ha esperienza in quell’ambito specifico: un partner che sia collaborativo. «IQVIA per rispondere a questo primo obiettivo – aggiunge Francesco Cavone, Head of Innovation & Strategic Initiative AI/Gen-AI dell’azienda – ha creato un trade mark dedicato, ovvero un modello attraverso cui parlare di IA, che dia garanzia di sicurezza, che tuteli la privacy, che favorisca il rispetto della compliance. Un partner che risponde a queste caratteristiche è solo colui che conosce il mercato del pharma, capace di governare la tecnologia e che assicuri che il dato rimanga in un “ambiente” protetto: la sicurezza è e deve essere alla base di tutti i progetti di AI. Occorre pertanto costruire una knwoledge-base definita, circolare, chiusa; ciò significa mettere a disposizione della macchina, del modello di AI solo dati di apprendimento che siano certificati e validati, tanto più in ambito medio e pharma».
Data governance
I dati aiutano anche a definire la differenza fra AI e Gen-AI. «L’AI – prosegue Mayer – permette di leggere un libro, catalogarne i contenuti e di renderli il più possibile comprensibili, la Gen-AI consente di scrivere quello stesso libro. AI e Gen-AI si basano sui dati, è fondamentale pertanto garantirne qualità e sicurezza. È cioè imprescindibile che il dato sia accurato e che tutte le componenti legate alla privacy siano rispettate, che siano quanto più possibile selezionate, in grado cioè di fittare al meglio con l’ambito di interesse e il modello da implementare». L’AI è infatti mezzo e strumento per ottimizzare e risparmiare tempo, «soprattutto di quelle attività di basso valore aggiunto – commenta Cavone – o che producono alto valore aggiunto ma che sono dispendiose prima di arrivare a produrre quello stesso valore. Inoltre, l’AI e la Gen-AI permettono di prendere decisioni informate, mettono cioè nelle condizioni di decidere sulla base di informazioni che statisticamente possono essere più probabili, anche in caso di dati provenienti da fonti destrutturate come una nota, un documento, tabelle, una versione di AI conversazionale e/o altro. In ambito farmaceutico ad esempio, a partire dalla creazione della molecola al suo sviluppo fino alla commercializzazione in più punti e su più aspetti, l’AI può dare e rappresentare un valore aggiunto».
Cultura e formazione
L’AI sta cambiando il modo di rapportarsi tra l’azienda e i colleghi, tra l’azienda e i clienti. «Occorre portare all’interno delle aziende una cultura dell’apprendimento continuo – sottolinea Mayer – Oltre a far risparmiare e ottimizzare il tempo, l’AI permette di allargare gli orizzonti e lo spettro delle attività da svolgere». Ed è proprio in campo culturale che si apporta innovazione: «L’approccio innovativo – conclude Cavone – non è la tecnologia in quanto tale, ma la capacità di “vendere” quell’approccio all’interno dell’azienda affinché sia fruibile a tutti e venga utilizzato nel mondo migliore. In questo passaggio può aiutare un “assistente virtuale” che IQVIA ha messo a punto: una “figura” che permette di interagire efficacemente con l’AI e con i modelli, inserendosi in tutti quei processi time consuming e/o dove il vantaggio è più concreto».