Preparazione, formazione di alto livello, competenza di qualità maturata sul campo, capacità di accettare e di confrontarsi con sfide e difficoltà, spesso quotidiane, propensione a non arrendersi e a rimettersi sempre in gioco. Determinazione, abnegazione, tenacia, empatia. Sono i “talenti”, le hard ma soprattutto le soft skills, che consentono alle donne di affermarsi, raggiungendo posizioni apicali, in ambiti professionali, culturalmente ritenuti a maggior appannaggio dell’uomo, come il manufacturing nel pharma. A testimoniarlo alcune “leader” che hanno partecipato a “La Piazza delle Donne del Pharma”, in occasione del 63° Simposio AFI, tenutosi a Rimini (5-7 Giugno 2023).
A tu per tu con la “produzione”
I ruoli, le problematiche, le opportunità nel mondo farmaceutico, l’apporto sinergico di quote azzurre e rosa. «Sono alcune delle tematiche che abbiamo voluto sviscerare nel corso di questo momento di incontro. Una chiacchierata informale, ma al contempo costruttiva – ha esordito Paola Minghetti, Vicepresidente AFI, Professore ordinario di Tecnologia e legislazione farmaceutiche all’Università di Milano, introducendo l’evento – tesa a mettere in luce punti di forza o criticità nell’avere nel team di produzione, dalla messa in atto di tutte le azioni necessarie ad avere il prodotto e a liberare il lotto, anche una (buona) parte di donne». Le “quote rosa” infatti sono in salita: «Sempre più donne scelgono di operare e specializzarsi nel manufacturing – ha confermato Giorgio Bruno, Presidente i AFI – e molte arrivano anche gestire lo stabilimento a 360°. Un cambiamento radicale rispetto agli anni ’70 quando la rappresentanza femminile era circoscritta ad ambiti quali il regolatorio, il controllo qualità, il laboratorio microbiologico. Sostengo e sono favorevole alla presenza delle donne nella produzione farmaceutica, un ambito di lavoro dinamico, che oltre all’eccellente competenza in materia, richiede anche la capacità di sapersi interfacciare e gestire le risorse umane». Rapporti spesso più complessi da far funzionare rispetto a una macchina o a un impianto.
Le produzioni e i siti internazionali
Oltre confine esistono linguaggi e gerarchie da conoscere e da rispettare: libero l’Occidente, restrittivo l’Oriente in cui le differenze culturali si fanno sentire. «La relazione è piuttosto difficile in Corea del Sud – ha dichiarato Paola Stefanelli di AFI e Qualified Person al MIAT– mentre in Giappone vige il rispetto dell’autorità a prescindere, là ciò che dice il capo è un “dictat” che va eseguito senza porsi domande, inoltre va rispettate e conosciuta anche la “gerarchia di parola” che spetta per primo al Capo Supremo. La produzione è un ambito di lavoro vivo, il cuore pulsante dell’azienda da cui mi sono dovuta distaccare per incompatibilità con la gestione famigliare: la produzione richiede un impegno in continuo, tempi di consegna da rispettare che non convergono con il ruolo di mamma attenta, scegliendo pertanto di supervisionare officine produttive gestite da altri. Ho inoltre dovuto cambiare anche il modo di relazionarmi con gli uomini, smorzare la mia vena polemica, imparare ad essere più pragmatica e dialogare in maniera più diretta con i colleghi maschi».
La produzione nelle terapie avanzate
«Siamo alla ricerca di quote azzurre, da sempre in inferiorità nel nostro team – ha continuato Sabrina Cazzaniga, AFI e AGC Biologics, azienda con quartiere generale in Giappone – oggi siamo 10 membri di cui un solo uomo, a fronte invece dei team della nostra Corporate Giapponese composta da tutti uomini, ma da cui abbiamo sempre ricevuto il massimo rispetto e riconoscimento delle nostre competenze in tutti i ruoli. Le culture diverse stanno apportando un valore aggiunto al nostro lavoro». Partita dall’assicurazione qualità, la CMO (Chief Marketing Officer) ha poi ricoperto ruoli di QP (Qualified Person), ha testato sul campo il farmaco addizionale specificatamente per terapie avanzate in un sito produttivo commerciale, fino a giungere all’attuale posizione di Responsabile di Produzione.
Il Biotech
Miltenyi Biotech è fra le aziende cha hanno saputo innovarsi, rivoluzionato nel corso dell’ultimo decennio il paradigma del manufacturing. «Lavorare in questa azienda – ha precisato Claudia Maldini – impone sfide quotidiane da cui ogni giorno si impara qualcosa. Sono una ex giovane laureata in CTF, che aveva il sogno di contribuire a debellare l’HIV, facendo di tutto per entrare in un laboratorio che lavorasse in quest’ambito a Bologna, e su cellule staminali. Disillusa dalla ricerca ho fatto poi gavetta in un laboratorio analisi in cui ho incontrato per la prima volta una Cell Factory e il controllo qualità particellare. Per un caso fortuito sono poi approdata a fare la Product Specialist a Bologna, in Moltemyi. Vi lavoro da 22 anni, una azienda con valori, dove non ho mai avvertito la disparità di genere, piuttosto la difficoltà a portare avanti le varie attività che richiedono spesso di essere fuori sede, potendo diventare pesante nella gestione famigliare. Ma le soddisfazioni che si ricavano da questa professione sono ben superiori e fanno dimenticare tutte le criticità, ripagando di tutto il resto».
Cell Factory accademica
«Sono biologa con un passato decennale in diverse posizioni: controllo qualità e produzione, la ricerca fino al 2007 quando ho iniziato a lavorare con le terapie cellulari da applicare alla cura dei tumori – ha aggiunto Anna Maria Granato, Cell Factory dell’Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori “Dino Amadori” I.R.S.T – Siamo partire in 4 donne ora siamo 10: ho sempre lavorato con team al femminile, donne che mi hanno arricchito molto, prendendo da ciascuna il meglio e dando ad ognuna di meglio di me. Lavorare con sole donne non è sempre facile, per caratteri diversi, ma ciò che va riconosciuto è che le donne hanno la giusta pazienza e tenacia, necessarie in produzione. Il lavoro bellissimo, ma che può rendere difficile la conciliazione con la famiglia: le cellule non ha orari e vanno sempre seguito». La dottoressa ha iniziato come operatore di produzione e nel 2012 è diventata responsabile di produzione.
I valori che contano
Le competenze, la fedeltà a seguire le proprie inclinazioni e propensioni, nel regolatorio, nella produzione o in altri step della filiera, il supporto della famiglia, a partire dal partner con cui spartire la gestione famigliare, sono i valori aggiunti che consentono di arrivare, là dove si è posta la propria meta. Cosa ancora manca? Una evoluzione culturale a livello di società, mentre la donna deve vincere ancora qualche senso di colpa nel privare la famiglia di tempo dedicato al lavoro. «Il percorso di affermazione è lungo e a volte si perde la costanza di continuare a perseguire l’obiettivo perché subentrano la stanchezza o altri fattori – ha concluso Maria Luisa Nolli, di AFI e CEO di NCNbio – Bisogna inoltre essere preparati anche al cambiamento, anche se può apparire un apparente declassamento, aprendo invece la via a nuove posizioni. Bisogna soprattutto ascoltarsi, essere fedeli a se stessi ai propri ideali e mai perdere di vista l’obiettivo». Questa è la ricetta che hanno seguito tutte loro, che ce l’hanno fatta.