La chimica produce valore economico, ambientale e sociale. È “l’industria delle industrie”, al quinto posto gerarchico. Cruciale per lo sviluppo scientifico, l’innovazione, l’avanzamento tecnologico, le imprese, il Made in Italy. Mobilità, trasporti, salute, farmaceutica, benessere, lifestyle, moda, edilizia, agricoltura, alimentazione, servizi, settore terziario si muovono grazie alla chimica. Leva trainante, “la Chimica dei Valori” tema al centro dell’assemblea pubblica di Federchimica Confindustria (Milano, 27 Ottobre), rischia di perdere terreno, competitività in Europa e in un contesto internazionale, e di chiudere in negativo il bilancio produttivo per il quinto anno consecutivo. Complici fattori esogeni e endogeni.
I numeri
All’incirca 65 miliardi di euro di fatturato nel 2024, più di 2.800 imprese, di cui il 70% PMI (Piccole medie Imprese), motore strategico per l’Italia, tuttavia esposte maggiormente alle dinamiche internazionali, oltre 113 mila addetti altamente qualificati, 860 milioni di euro annui investiti in ricerca e sviluppo ed innovazione, con l’8% delle risorse umane impiegate in questo settore, 96% si addetti assunti a tempo indeterminato con retribuzioni superiori del 35% rispetto alla media italiana. La chimica ha saputo coniugare valore economico, essendo nevralgica per lo sviluppo e l’innovazione in tutte le filiere industriali, valore sociale in grado di migliorare la qualità di vita della popolazione, del benessere collettivo anche in ambito di salute con la proposta e sviluppo di nuove opportunità terapeutiche e tecnologie, di favorire alleanze tra accademia, industria e impresa, e valore ambientale con politiche green che hanno conseguito risultati di eccellenza.
Riduzione delle emissioni di gas serra del 70% dal 1990, strategie di riciclo, adottate per il 50% come prima modalità di trattamento dei rifiuti e/o di recupero di materiali di scarto. Valori tuttavia minacciati dal contesto geopolitico nazionale e internazionale. Aumento dei costi energetici, dazi USA, sovracapacità produttiva cinese, politiche protezioniste, disegnano una potenzialità produttiva in calo, stimata per il 2025 a -1,5% e un calo complessivo dell’11% dal 2021 al 2024. Uno scenario che coinvolge anche l’Europa: – 19% registrato dalla Germania, motore assoluto della chimica europea.
«Occorre agire subito su costo dell’energia e semplificazioni – ha dichiarato Francesco Buzzella, Presidente di Federchimica – e definire un quadro normativo che premi neutralità tecnologica per tutelare la competitività del settore e accompagnarlo nella trasformazione industriale e ambientale, evitando così il rischio di “desertificazione industriale”. È necessario sostenere l’innovazione, sfruttando tutte le fonti disponibili e le loro potenzialità. Una strategia che favorirà la sostenibilità e la tenuta del sistema».
Al centro l’energia
La chimica è uno dei settori più sensibili al costo dell’energia, utilizzatrice di fonti fossili sia a fini energetici sia come materia prima, e altamente energivora. ETS, nato più di 20 anni fa per accompagnare la riduzione delle emissioni industriali di gas serra in Europa, obbliga in realtà i grandi energivori ad acquistare quote di CO2, in un contesto come quello italiano in cui i costi sono più elevati rispetto al resto del mondo, pagando sia per l’energia in ingresso, sia i gas combusti in uscita. Con costi doppi insostenibili. Inoltre, il primo mandato di Ursula von der Leyen, che è stato sostenuto da un’ampia maggioranza parlamentare e dagli Stati membri, è stato dominato da un forte impegno verso politiche ambientali rivelatesi insostenibili, non solo per la chimica. Il Green Deal ne è l’espressione massima: una scelta strategica sbagliata». E su questo tema, Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente intervenuto all’assemblea, promette una riconsiderazione del prezzo dell’energia, mentre Tommaso Foti, ministro agli Affari europei, parla dell’accesso dell’industria chimica italiana a fondi europei finora preclusi.
La transizione energetica e ambientale
Va sostenuta, con particolare attenzione alle filiere, industrie e settori che non dispongono soluzioni tecnologie adeguate e realmente scalabile: incentivi e benefici finanziari sono soluzioni per favorirne la transizione. Strategie che consentiranno, inoltre, di sostenere anche la domanda per la creazione di un mercato di prodotti chimici più sostenibili, senza depenalizzazione per le tecnologie più mature. «È necessario creare le condizioni per un accesso sicuro e competitivo alle materie prime – ha sottolineato il Presidente – siano esse da riciclo o da fonti rinnovabili. Ciò impone anche di semplificare la legislazione e ridurre gli oneri a carico del sistema industriale, senza abbassare i livelli di sicurezza e di protezione ambientale. Il “Clean Industrial Deal” e il “Piano di Azione per l’Industria Chimica Europea” sono opportunità da non perdere. La politica deve supportare l’industria chimica in questo percorso nell’intento comune di sviluppare e fare crescere un’economia sostenibile, competitiva e con prospettive di crescita».
La semplificazione, terzo nodo cruciale
L’industria chimica è fra i settori manifatturieri più normati e gli attuali tempi di autorizzazione per impianti e prodotti tagliano fuori l’Italia dal mercato europeo e internazionale. L’impatto è una perdita di competitività e di attrattività degli investimenti nel Paese. Criticità che potrebbe essere risolta da un quadro normativo in grado di accompagnare la trasformazione industriale e ambientale con strumenti semplici, chiari e accessibili. «La transizione ecologica richiede sempre più impianti industriali, e in questo contesto di instabilità – precisa Francesco Buzzella – solo il 30% delle imprese ha pianificato investimenti significativi in Italia nei prossimi anni, come ha rilevato da una recente indagine effettuata presso le nostre associate. Per favorire la competitività servono stabilità, semplicità e rapidità di esecuzioni». Obiettivi e appelli da sempre sostenuti da Federchimica e condivisi anche da Emanuele Orsini, Presidente Confindustria che conclude: «Servono cambiamenti e fatti, con rapida realizzazione per fare fronte alla crescente competitività degli altri continenti. Ne è un esempio il +14% di prodotti provenienti Cina. Credo che si debba correre ai ripari prima che sia tardi e a novembre ci incontreremo con la Confindustria francese e tedesca per portare il nostro allarme. È necessario cambiare metodo ed è necessario che sia veloce».







