In occasione della European Biotech Week 2025, lo scorso 2 ottobre l’Associazione Farmaceutici Industria (AFI) ha organizzato un incontro presso la Facoltà di Scienze del Farmaco di Milano, dedicato alla sfide della filiera delle terapie avanzate. L’evento, intitolato Nuovi modelli di supply chain per lo sviluppo di terapie avanzate sostenibili” ha visto la partecipazioni di diversi esperti del settore degli Advanced Therapy Medicinal Products (ATMP), appartenenti a vari ambiti: dal manifatturiero alla ricerca, dal controllo qualità al regolatorio.

«Le terapie avanzate sono una nuova realtà che sta crescendo e alla quale dobbiamo prestare attenzione – ha sottolineato aprendo i lavori Giorgio Bruno, presidente AFI – Sono farmaci per terapie particolari, che hanno pertanto necessità diverse rispetto ai medicinali tradizionali di sintesi e modelli di fornitura differenti». Come emerso da tutti gli interventi del convegno, ogni ambito della supply chain è coinvolto nel processo di sviluppo di soluzioni che rispondono alle particolari esigenze degli ATMP.

Anche dal punto di vista regolatorio, come ha spiegato Raffaella Sardelli, GMP senior inspector dell’AIFA, sono stati istituiti gruppi di lavoro dedicati per affrontare le problematiche specifiche di questo settore. «È sempre interessante confrontarci con le aziende. Riporterò le numerose riflessioni raccolte oggi ai colleghi che nell’Agenzia si occupano delle particolari ispezioni relative agli ATMP». L’innovazione costante di questo settore lascia aperti numerosi ambiti da ottimizzare, oltre a importanti questioni da affrontare come la sostenibilità economica e la tracciabilità.    

Le sfide della supply chain di un ATMP  

Per comprendere nel concreto come opera la filiera di un prodotto di terapia avanzata, è stata presentata la case history di Holoclar, il primo prodotto a base di cellule staminali approvato in Italia. Come ha spiegato Maria Carmela Latella, membro AFI e quality control manager di Holostem, il produttore di Holoclar, il processo parte dal prelievo delle cellule staminali prelevate dall’occhio del paziente dove sono presenti cellule che permettono, in vitro, di rigenerare la cornea. Essendo un farmaco autologo la sua produzione ha inizio con il prelievo di materiale biologico dal paziente e finisce con la somministrazione sicura allo stesso paziente e il monitoraggio post-somministrazione. I passaggi nel mezzo includono quindi: manufacturing, controllo qualità, confezionamento e trasporto controllato, sia della biopsia verso la cell factory sia del prodotto finito verso il centro chirurgico.

Concretamente, quindi, il processo parte dai centri ospedalieri dei Paesi dove il farmaco è distribuito. Nel caso di Holoclar parliamo di otto Paesi dell’UE e Regno Unito. Il chirurgo preleva dall’occhio del paziente una piccolissima biopsia di 1-2 mm, che viene poi spedita alla cell factory dove avviene l’estrazione delle cellule per la coltura primaria. Le cellule vengono poi congelate fino a quando il paziente non è pronto a ricevere il prodotto finito. In questo lasso di tempo vengono eseguiti vari controlli qualità. Con lo scongelamento delle cellule inizia la seconda fase, ovvero la coltura secondaria, da cui si ottiene il prodotto finale.

«Questo processo presenta diversi aspetti critici – ha sottolineato Latella – Il primo è la stabilità della biopsia, che è di sole 29 ore. Ciò significa che deve iniziare a essere processata entro questo tempo. Il prodotto finito, invece, deve essere impiantato a 36 ore dalla produzione. I tempi sono quindi molto sfidanti, considerato che bisogna coprire un trasporto a temperatura controllata da e fino ai Paesi internazionali di destinazione». Oltre alle tempistiche, un altro fattore critico è l’approvvigionamento delle materie prime, alcune delle quali vanno selezionate lotto per lotto per assicurare la consistenza e qualità del prodotto finito. Ciò richiede un’elevata qualifica dei fornitori. Proseguendo con l’analisi delle criticità, Maria Carmela Latella ha sottolineato anche l’importanza del coordinamento con i centri clinici per la programmazione degli interventi e le numerose sfide logistiche. Il trasporto di materiali biologici, infatti, impone un rigoroso rispetto del controllo delle temperature ed è essenziale che anche i trasportatori siano qualificati.

Il manufacturing di un Cart-T sperimentale

Anche a livello sperimentale, le criticità da affrontare sono diverse e presenti in tutta la filiera. Un aspetto emerso dall’esperienza dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, illustrata dalla professoressa Concetta Quintarelli, responsabile dell’Unità terapia genica dei tumori. L’esperta ha presentato nello specifico l’iter dello sviluppo di un CAR-T sperimentale sicuro ed efficace. Lo scopo è arrivare a un costrutto in grado di bersagliare un antigene specifico espresso sulle cellule neoplastiche di tumori ematologici o solidi. Il processo di selezione dei costrutti può durare mesi o anni. Bisogna infatti identificare quelli più efficaci ma anche con la minore tossicità. Dopo l’ottimizzazione dei costrutti, si sviluppano i modelli pre-clinici.

«La complessità di questa fase è associata al fatto che non disponiamo di molti modelli malattia – ha spiegato la professoressa – e il modello singenico non aiuta a testare efficacia e sicurezza di un prodotto CAR-T sviluppato per riconoscere un antigene umano. Ci sono poi anche problematiche economiche da affrontare. Sono infatti necessari reagenti dedicati da usare in uno studio clinico e il loro sviluppo fa aumentare notevolmente i costi anche perché, bisogna sempre sottolinearlo, nel caso delle terapie avanzate ogni lotto equivale a un solo paziente. Una volta ottenuto un vettore virale può essere usato per sviluppare un metodo di produzione di un prodotto CAR-T».

Fill e finishing nelle TA

A cosa equivalgono le operazioni di fill e finishing in un prodotto per terapie avanzate? Alberto Bartolini, coordinatore GdS Supply Chain e Innovazione AFI e CEO di CIT Pharma ha messo in luce l’evoluzione che il fill e il finishing avranno con il diffondersi del biotech. Il concetto tradizionale di confezionamento primario e secondario sono attività che si trasformano di conseguenza. Per comprendere questo passaggio, Bartolini ha fatto un paragone tra le operazioni tradizionali e quelle richieste dagli ATMP. Possiamo quindi paragonare le prime fasi del processo di fill, API e Bulk per i farmaci tradizionali, ad attività quali: prelievo di cellule o tessuto, manipolazione delle sostanze prelevate, caratterizzazione e conservazione. Attualmente, queste attività sono svolte da centri specializzati specifici e non sono decentrate. Il concetto di fill nelle terapie avanzate può essere equiparato alle operazioni svolte negli isolatori.

«Oltre al rispetto di quanto prevede l’Annex 1 sui requisiti dei sistemi chiusi e le specifiche di utilizzo degli isolatori, è indispensabile – ha precisato Bartolini – anche la qualifica del locale, un adeguato monitoraggio e un assoluto rispetto da parte del personale di reparto delle procedure che verranno preventivamente predisposte dalla funzione qualità». In merito al finishing, ovvero il contenitore riempito che esce dall’isolatore, le raccomandazioni sottolineate da Alberto Bartolini riguardano il rispetto della temperature e il controllo rigoroso del TOR, estrema cautela nella manipolazione dei prodotti da confezionare e grande attenzione nella stampa dei riferimenti, perché ogni singola confezione corrisponde a un singolo paziente.