Etelcalcetide per l’iperparatiroidismo secondario a malattia renale cronica è stato approvato da AIFA. Potrà essere somministrato per via endovenosa ai pazienti adulti con malattia renale cronica direttamente al termine della seduta di emodialisi, tre volte a settimana.

Etelcalcetide riduce significativamente il paratormone sierico e migliora l’aderenza terapeutica.

L’immissione in commercio di etelcalcetide è stata autorizzata dall’EMA il novembre 2016 e, sette mesi dopo, da AIFA. Il farmaco è prescrivibile nel nostro Paese con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della determina dell’Agenzia Italiana del Farmaco che lo ha inserito nella Classe A, quella dedicata ai farmaci rimborsati dal Sistema Sanitario Nazionale e soggetto a prescrizione medica limitativa vendibile al pubblico su prescrizione di specialisti in nefrologia e centri dialisi individuati dalle Regioni.

Etelcalcetide

Etelcalcetide è un nuovo agente calciomimetico endovenoso di seconda generazione che si lega ed attiva il recettore sensibile al calcio (CaSR), espresso sulle cellule delle ghiandole paratiroidee, riducendo la secrezione di ormone paratiroideo (PTH). È indicato per il trattamento dell’iperparatiroidismo secondario (SHPT) in pazienti adulti con malattia renale cronica in emodialisi.

I calciomimetici sono una famiglia di farmaci che “mimano” le azioni del calcio nell’organismo, attivando i recettori calcio-sensibili presenti sulle ghiandole paratiroidi. In questo modo consentono di ridurre la secrezione di ormone paratiroideo (PTH).

La somministrazione endovenosa, effettuata al termine di ogni seduta dialitica, permette un maggior controllo di una terapia che può richiedere degli aggiustamenti, in funzione dell’andamento di vari valori di laboratorio. La certezza che il farmaco venga assunto dai pazienti nei modi e nei tempi stabiliti implica la massima aderenza al trattamento, contribuendo ad un’efficacia costante nel tempo: Il 56% dei pazienti in trattamento con etelcalcetide ha mantenuto i livelli di PTH entro il target ≤ 300 pg/mL nella fase di valutazione dell’efficacia dello studio a lungo termine di 12 mesi.

La dose iniziale raccomandata di etelcalcetide è di 5 mg somministrata in bolo 3 volte a settimana, indipendentemente dall’esposizione precedente ad agenti calciomimetici. Può essere necessario un aggiustamento della dose in qualunque momento durante il trattamento, sulla base dei livelli sierici tanto del paratormone, tanto del calcio, anche nella fase di mantenimento.

I livelli di PTH devono essere misurati 4 settimane dopo l’inizio del trattamento con etelcalcetide o l’aggiustamento della dose, e approssimativamente ogni 1-3 mesi durante il mantenimento.

Il medicinale è soggetto a prescrizione medica limitativa ed è vendibile al pubblico su prescrizione di centri ospedalieri o degli specialisti in nefrologia e dei centri dialisi individuati dalle regioni.

Studi clinici su etelcalcetide

Gli studi dimostrano che etelcalcetide riduce l’ormone paratiroideo e migliora gli altri importanti parametri di laboratorio.

Il profilo di efficacia e sicurezza di etelcalcetide è stato analizzato nell’ambito di tre studi randomizzati controllati di Fase III. Due di questi sono stati condotti verso placebo e un terzo studio ha confrontato direttamente etelcalcetide e cinacalcet, un altro calciomimetico approvato per il trattamento dell’iperparatiroidismo secondario (sHPT) in pazienti con insufficienza renale cronica sottoposti a dialisi.

Gli studi controllati verso placebo

Nei primi due studi etelcalcetide in aggiunta a chelanti del fosforo e calcitriolo o analoghi della vitamina D attiva è stato confrontato con i soli chelanti del fosforo e vitamina D attiva. La principale misura dell’efficacia era la percentuale di pazienti con riduzione di ormone paratiroideo (PTH) >30% rispetto al basale tra la settimana 20 e 27 (fase di valutazione dell’efficacia) compresa (endpoint primario). Gli endpoint secondari comprendevano la proporzione di pazienti con PTH medio inferiore o uguale a 300 pg/mL nella fase di valutazione dell’efficacia.

Complessivamente i due trial hanno arruolato 1023 pazienti con iperparatiroidismo secondario da moderato a grave dovuto a malattia renale cronica avanzata. Etelcalcetide (o il placebo) è stato somministrato per 26 settimane per tre volte a settimana, alla fine della seduta di dialisi in aggiunta agli standard di cura (vitamina D e/o chelanti del fosfato).

Il farmaco ha raggiunto l’endpoint primario e gli endpoint secondari:

  • etelcalcetide ha raggiunto l’endpoint primario in circa il 75% dei pazienti (380 su 509) rispetto a circa il 9% (46 su 514) del gruppo placebo;
  • la percercentuale di pazienti con PTH medio ≤300 pg/ml tra la settimana 20 e 27 compresa era pari al 49,6% nel gruppo etelcalcetide e al 5,1% nel gruppo placebo nel trial A; era pari al 53,3% nel gruppo etecalcetide e 4,6% nel gruppo placebo nel trial B.

Lo studio di confronto testa-testa

Nello studio testa-testa, l’endpoint primario è rappresentato dalla non inferiorità di etelcalcetide rispetto a cinalcalcet nella percentuale di pazienti con riduzione di PTH >30% rispetto al basale tra la settimana 20 e 27 (fase di valutazione dell’efficacia).

Gli endpoint secondari erano relativi alla superiorità di etelcalcetide vs cinacalcet per la percentuale di pazienti con una riduzione >30% e >50% del PTH medio rispetto al basale e alla differenza nei giorni medi settimanali con nausea e vomito durante le prime 8 settimane.

Lo studio ha arruolato 683 pazienti in emodialisi con iperparatiroidismo secondario da malattia renale cronica. I pazienti sono stati divisi in due gruppi:

  • uno che assumeva la nuova molecola per via endovenosa  (e il placebo per via orale)
  • e l’altro che assumeva il placebo endovenoso e il cinacalcet orale

La somministrazione è durata 26 settimane, la nuova molecola (e rispettivo placebo) per tre volte a settimana, alla fine della seduta di dialisi e oltre agli standard di cura mentre il calciomimetico orale di confronto (e rispettivo) è stato somministrato quotidianamente.

Lo studio ha raggiunto l’endpoint primario e quelli secondari relativi alla riduzione del livello di paratormone.

  • il 68,2% di pazienti trattati con etelcalcetide ha raggiunto una riduzione di PTH > 30% rispetto al 57,7% nel gruppo cinacalcet, endpoint primario di non inferiorità. Tale obiettivo è stato raggiunto sia come endpoint primario di non inferiorità sia come endpoint secondario di superiorità, permettendo di definire etelcalcetide superiore a cinacalcet in termini di riduzione del PTH così calcolata.
  • una maggior percentuale di pazienti trattati con etelcalcetide (52,4%) ha raggiunto una riduzione di PTH >50% rispetto ai pazienti nel gruppo cinacalcet (40,2%), endpoint secondario di superiorità. Quindi, etelcalcetide si è dimostrato superiore rispetto al concorrente negli endpoint secondari, relativi alla percentuale dei pazienti che ha raggiunto più del 30% e più del 50% di riduzione rispetto al valore basale di PTH;
  • l’incidenza di eventi avversi associati a etelcalcetide è risultata simile a quella osservata con cinacalcet; gli eventi avversi più comuni sono stati spasmi muscolari, diarrea, nausea, vomito, cefalea e reazioni correlate all’infusione.

Infine, la modalità di somministrazione endovenosa garantisce agli operatori sanitari il pieno controllo della terapia e potrebbe migliorare l’aderenza al trattamento da parte del paziente e aumentarne la probabilità di raggiungere gli obiettivi terapeutici.

Aderenza alla terapia con etelcalcetide

Da uno studio del 2011, che si è concentrato sul calciomimetico più usato, il cinacalcet, è emerso che dopo 12 mesi di terapia il 46% dei soggetti non era aderente. Con etelcalcetide, la nuova molecola somministrata per via endovenosa dopo la seduta di dialisi, il 56% dei pazienti in trattamento a 12 mesi ha raggiunto i livelli di PTH entro il target ≤ 300 pg/mL.

«La missione di Amgen è quella di essere al servizio dei pazienti e, in questo caso siamo intervenuti su uno degli aspetti critici che riguardano questa patologia: l’aderenza alle terapie. Con etelcalcetide andiamo ad affrontare un bisogno clinico non soddisfatto che riguarda proprio quest’area. Si tratta, infatti di un trattamento endovenoso che darà agli operatori sanitari un maggiore controllo sulla somministrazione e fornirà ai pazienti un’opzione aggiuntiva – dichiara André Tony Dahinden, AD Amgen Italia. – L’Italia è stata coinvolta negli studi clinici di Fase III che sono alla base dell’approvazione EMA del farmaco con ben 18 centri grazie ai quali siamo riusciti a trattare 63 pazienti in differenti studi. Dall’altra parte è da sottolineare una estrema rapidità nei tempi di accesso. La nostra Agenzia ha riconosciuto il valore del farmaco garantendo tempi di rimborsabilità molto brevi. Basti pensare che dalla sottomissione del dossier alla Gazzetta Ufficiale sono passati soltanto 7 mesi, che significa che l’approvazione ha subito un anticipo di 8 mesi rispetto alle tempistiche medie di approvazione. Amgen è ovviamente orgogliosa di questo perché il risultato è a beneficio dei pazienti».

«La nuova molecola è un peptide che agisce in modo diretto sul recettore del calcio, inibendo la secrezione e la produzione del paratormone da parte delle ghiandole paratiroidee – illustra Mario Cozzolino, direttore della U.O.C. Nefrologia e Dialisi, ASST Santi Paolo e Carlo, Presidio San Paolo e Professore di Nefrologia, Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di Milano – Come atteso, gli studi pubblicati sulla rivista JAMA hanno dimostrato che, come il precedente calciomimetico, etecalcetide è più efficace della sola terapia standard con chelanti del fosforo e vitamina D. Tuttavia, rispetto ai pazienti trattati con cinacalcet, il calciomimento attualmente in uso, nel gruppo trattato con il nuovo farmaco si è evidenziata una percentuale significativamente maggiore di pazienti il cui valore medio del paratormone si è ridotto del 30% o del 50% rispetto al valore basale, due endpoint che nello studio sono stati classificati come secondari ma che influenzano positivamente il metabolismo calcio-fosforo».

Uno dei limiti principali delle attuali terapie orali per l’SHPT è la scarsa aderenza.  «La lunga emivita del nuovo farmaco – prosegue Mario Cozzolino – consente una frequenza di assunzione che può essere ridotta a 3 volte alla settimana, in coincidenza con le sedute dialitiche durante le quali la somministrazione per via endovenosa è particolarmente agevole e assume un particolare valore clinico perché viene gestita direttamente dal personale medico-infermieristico».

La certezza che il farmaco venga assunto dai pazienti nei modi e nei tempi stabiliti assicura la massima aderenza al trattamento, determinando anche un’efficacia costante nel tempo.

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