Gravidanza e malattie infiammatorie croniche intestinali non sono incompatibili. Ci sono dei rischima la terapia può salvare la vita anche al feto. Se la malattia è in fase attiva al momento del concepimento o durante la gestazione, infatti, aumentano le probabilità di aborto spontaneo, parto pre-termine e basso peso alla nascita.

Gravidanza e malattie infiammatorie croniche intestinali non sono incompatibili. Ci sono dei rischi, ma la terapia può salvare la vita anche al feto
Una corretta terapia stabilita dal gastroenterologo e condivisa con ginecologo e MMG abbatte i rischi che possono derivare dall’attività di una MICI per la gestante e il feto.

La Colite Ulcerosa (CU) e la malattia di Crohn (MdC) sono patologie croniche intestinali caratterizzate da un’alternanza di differenti fasi (remissione: malattia non attiva e recidiva: malattia attiva). Queste malattie intestinali necessitano in modo continuativo di terapia medica e, in alcuni casi, i più severi, di terapia chirurgica. Il picco di incidenza delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI) si verifica in età giovanile e coincide quindi, in circa il 25% di tutti i pazienti, con il periodo riproduttivo. A volte queste malattie possono avere serie ripercussioni per la salute della gestante e del feto stesso. Ma la terapia abbatte i rischi.

I rischi per il feto

«L’attività di malattia, al concepimento o durante la gestazione, è in grado di influenzare negativamente l’esito della gravidanza – dichiara Aurora Bortoli, Fondazione IBD Onlus (Piemonte)aumentando la probabilità di aborto spontaneo, parto pre-termine (< 37 settimane) e basso peso alla nascita (< 2500 g). Al contrario, se la malattia è in remissione al concepimento, ha un minimo o nullo effetto sulla gravidanza e sul suo esito. È estremamente importante, quindi, iniziare una gravidanza in periodo di remissione della malattia (da 3-6 mesi) per ridurre il rischio di esito sfavorevole della gravidanza».

Studio sulla percezione delle pazienti riguardo all’interazione tra MICI e gravidanza

In uno studio australiano è stata valutata la percezione delle pazienti riguardo alla interazione tra MICI e gravidanza. È emerso che la maggior parte (84%) delle donne ritenesse che la terapia assunta per le MICI fosse dannosa per il feto.

Soltanto il 19% aveva manifestato preoccupazione relativamente all’influenza dell’attività di malattia, tanto da scegliere di “sopportare i sintomi, piuttosto che assumere farmaci”, mostrando quindi di non conoscere i rischi del mancato controllo della malattia sulla crescita fetale e sull’esito della gravidanza. Inoltre, il 28% delle pazienti che aveva modificato il trattamento durante la gravidanza, non aveva interpellato il proprio medico di riferimento.

«Frequentemente la percezione dell’importanza della terapia e il comportamento nei confronti dei farmaci – spiega Aurora Bortoli era influenzata dalla discussione e dai consigli di familiari o amici, oppure dalle informazioni ottenute attraverso Internet, senza rivolgersi al proprio medico. Valutazioni successive hanno messo in evidenza come il punto di vista dei pazienti sulla fertilità e sulla gravidanza sia strettamente legato alla propria conoscenza delle problematiche correlate a questi aspetti, tanto da indurre, in molti casi, una infertilità volontaria».

Influenza delle MICI e dei farmaci per queste patologie sulla fertilità

Nelle donne affette da colite ulcerosa in remissione la fertilità è sovrapponibile a quella della popolazione generale.

Nelle donne affette da malattia di Crohn è segnalata una minore fertilità per infiammazione a livello pelvico.

I fattori che diminuiscono la fertilità nella malattia di Crohn e nella colite ulcerosa sono:

  • malattia in fase di attività (in particolare nella malattia di Crohn),
  • una pregressa chirurgia addomino-pelvica.

I farmaci assunti dalle donne per la loro malattia non influenzano la fertilità.

Negli uomini, invece, alcuni farmaci diminuiscono la fertilità. L’effetto di questi farmaci è reversibile e regredisce dopo 2-3 mesi dalla loro sospensione.

I consigli degli specialisti

Nel momento in cui si pianifica o inizia una gravidanza dovrebbe essere rivalutata, da parte del Gastroenterologo che ha in cura la paziente, l’attività di malattia e il trattamento in corso per sospendere eventuali terapie controindicate (metotrexate, talidomide) e impostare o confermare una adeguata terapia. Verrà richiesta alla paziente aderenza al trattamento e a controlli periodici (ogni 3 mesi oltre che al bisogno) per rivalutare il decorso della malattia e la adeguatezza della terapia in corso. È molto importante anche la collaborazione e condivisione della terapia con il Ginecologo e il Medico di famiglia prima, con il Neonatologo-Pediatra dopo.

«In conclusione – conclude Aurora Bortoli – va incoraggiato con i pazienti un dialogo e una discussione per fare in modo che dubbi e preoccupazioni riguardo alla fertilità, alla gravidanza e alla terapia durante la gestazione e l’allattamento vengano espressi al proprio gastroenterologo, oltre che al ginecologo, al pediatra e al medico di medicina generale. La Fondazione IBD-Onlus e IG-IBD hanno iniziato una collaborazione tra Gastroenterologi, Ginecologi e Pediatri per raggiungere un consenso interdisciplinare rispetto ai principali problemi clinici che si possono verificare prima, durante e dopo la gravidanza, nei pazienti affetti da MICI. Lo scopo è quello di sviluppare una linea guida comune da diffondere nella comunità Gastroenterologica, Ginecologica e Pediatrica, nonché ai pazienti sia con documentazione scritta, che con incontri educativi».

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