L’approvazione dell’SPC manufacturing waiver da parte del Parlamento europeo (ne abbiamo parlato qui ieri) “è un risultato molto importante e di grande rilievo, per l’Europa e in particolare per le aziende italiane che nel settore industriale dei principi attivi farmaceutici vantano un primato per quanto riguarda l’alto contenuto scientifico e tecnologico delle proprie produzioni” ha commentato il presidente di Aschimfarma, Paolo Russolo. Secondo la rappresentanza dei produttori di principi attivi, infatti, l’Italia potrebbe trarre i maggiori benefici – viste le sue caratteristiche di eccellenza nello scenario mondiale – nell’attrarre il nuovo fatturato derivante dall’entrata in vigore della deroga ai certificati di protezione complementare, che secondo lo studio d’impatto della Commissione è atteso salire tra i 212 e 254 milioni di Euro entro il 2030.

L’Associazione, parte di Federchimica, ha accolto con grande favore la decisione del Parlamento, in quanto il nuovo regolamento europeo permetterà ai produttori europei ed italiani di competere ad armi pari con quelli asiatici, a beneficio dell’intera eccellenza rappresentata dalla filiera della salute. La deroga ai certificati di protezione complementare permetterà infatti ai produttori di principi attivi e a quelli di farmaci generici di produrre direttamente in Europa,  per l’export nei paesi in cui l’SPC è già scaduto o non è presente, e non solo. “I produttori di farmaci generici, un importante mercato di sbocco dei principi attivi farmaceutici, potranno iniziare la produzione di farmaci generici sei mesi prima della scadenza dei certificati di protezione ed essere pronti a competere con i produttori di generici extra-Ue fin dal primo giorno dopo la scadenza stessa dei vari SPC”, sottolinea infatti Russolo.

Efpia lancia le richieste per la nuova Commissione Ue

Decisamente più negativi, come ci si può aspettare, i commenti da parte della Federazione europea delle associazioni dell’industria farmaceutica (Efpia), che rappresenta gli interessi delle aziende innovatrici. I commenti affidati da una nota pubblicata sul sito pongono l’accento proprio  sull’impatto sulla capacità di sviluppare nuovi trattamenti farmacologici che potrebbe derivare dall’adozione dell’SPC manufacturing waiver.

Un’Europa meno attrattiva per i nuovi investimenti in R&D, potrebbe essere per Efpia l’esito dell’approvazione del nuovo regolamento europeo, che secondo l’industria originator rappresenterebbe un segnale negativo a livello globale circa l’indebolimento del quadro di riferimento per la protezione della proprietà intellettuale.

Questa decisione di introdurre la deroga crea una sfida significativa per il prossimo mandato. Se l’Europa vuole realizzare il proprio potenziale di essere leader nel settore della ricerca e sviluppo in campo medico, allora la prossima Commissione dovrà cercare nuove opportunità per reindirizzare l’equilibrio, supportando in modo più ampio la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione“, si legge nella nota di Efpia. Il dibattito sull’SPC manufacturing waiver è quindi tutt’altro che terminato con l’approvazione del nuovo regolamento, ma proseguirà anche una volta insediati il nuovo Parlamento e la nuova Commissione europea. Del resto, il testo approvato ieri prevede una rivalutazione d’impatto dopo cinque anni dall’entrata in vigore, che potrebbe portare a future modifiche della normativa.

Le richieste avanzate fin d’ora da Efpia includono il miglioramento dei percorsi regolatori di fast-track per le terapie “breakthrough” che rispondono a bisogni ancora disattesi, il potenziamento degli incentivi e dei meccanismi di ricompensa alle attività di R&D mirate alla scoperta di nuovi trattamenti nelle aree di bisogno terapeutico, il supporto a un quadro di riferimento più flessibile per le partnership pubblico-privato nel caso della salute e la modernizzazione dei processi produttivi.  “Poiché la deroga colpirà l’innovazione in Europa – è il monito della nota di Efpia, che annuncia fin d’ora nuove iniziative pratiche in tal senso – l’industria basata sulla ricerca è pronta a lavorare coi policy maker europei per capire come ripristinare la fiducia internazionale nell’Europa quale destinazione della ricerca“.