Il tumore della prostata è una patologia peculiare dell’età avanzata. È la forma di tumore più diffusa tra i maschi adulti e rappresenta il 20% di tutti i tumori tra gli uomini di età superiore ai 50 anni. La fascia d’età maggiormente colpita è quella over 70, ma nell’ultimo decennio sono in aumento i casi registrati tra i 60 e i 70 anni.

Ogni anno in Italia le nuove diagnosi sono circa 42.000 con 8.000 decessi.

Il carcinoma della prostata, in genere, è a lenta progressione e spesso asintomatico. I sintomi di ostruzione vescicale e uretrale e l’ematuria possono presentarsi nella fase avanzata della malattia. Circa il 10-20% dei casi viene diagnosticato in questa fase a causa dalla natura del tumore che è ghiandolare, simile nell’aspetto istologico alla normale prostata e le cui alterazioni, nella parte più esterna della ghiandola, inizialmente non danno segni.

Grazie ai trattamenti che comprendono diverse opzioni, quali la chirurgia, la radioterapia, l’ablazione focale, l’ormonoterapia e la chemioterapia, la sopravvivenza dei pazienti è di circa l’88% a 5 anni dalla diagnosi. Ma oltre il 40% degli uomini colpiti da un cancro prostatico sviluppa metastasi (soprattutto ossee osteoblastiche alla pelvi, alle costole e ai corpi vertebrali) e, di questi, un numero elevato diventa resistente al trattamento di deprivazione androgenica (castrazione).

Il recettore degli androgeni è il principale oncogene responsabile dell’aggressività della neoplasia. Tale molecola prima si lega al testosterone, successivamente il complesso testosterone-recettore migra nel nucleo delle cellule, si lega al DNA e lo stimola a sintetizzare le proteine responsabili della crescita tumorale.

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