La malattia di Pompe o Glicogenosi di tipo II è una patologia neuromuscolare rara, cronica e debilitante.
La malattia di Pompe è classificata malattia rara da accumulo lisosomiale ed è caratterizzata dal mancato smaltimento del glicogeno causato dal deficit dell’enzima lisosomiale alfa-glucosidasi acida (GAA), responsabile della degradazione del glicogeno. Di conseguenza questa molecola si accumula nelle cellule in particolare muscolari e danneggia la muscolatura.
La malattia di Pompe è una patologia genetica a trasmissione autosomica recessiva che si trasmette da genitore a figlio. Il bambino eredita da ciascun genitore due copie del gene difettoso. Quando entrambi i genitori sono portatori del gene difettoso, esiste una probabilità del 25% che il bambino sviluppi la malattia. La patologia si riscontra in uomini e donne nella stessa misura e in ogni gruppo etnico, malgrado l’incidenza appaia più alta tra gli afro-americani e presso alcune popolazioni asiatiche.
La malattia di Pompe ha una presentazione clinica complessa ed eterogenea. In base all’età d’esordio, si riconoscono tre forme della malattia:
- la forma classica e più grave, si manifesta subito dopo la nascita. Il quadro clinico è caratterizzato da cardiomiopatia ipertrofica, cardiomegalia, insufficienza cardiorespiratoria, e ritardo nell’acquisizione o regressione delle tappe motorie. I bambini affetti da malattia di Pompe presentano un’ipotonia grave e progressiva (“floppy baby” o tipo “bambola di pezza”). Se non diagnosticata e trattata precocemente, questi neonati sopravvivono raramente oltre il primo anno di vita;
- la forma non classica, con esordio tra il primo e il secondo anno di vita, è caratterizzata da una prognosi variabile;
- la forma a esordio tardivo, che può manifestarsi a qualsiasi età dopo il primo anno di vita, è caratterizzata da una progressione lenta e da esiti meno sfavorevoli di quelli della forma classica. Questa forma colpisce prevalentemente i muscoli e risparmia generalmente il cuore. Il graduale indebolimento muscolare e i problemi respiratori sono i sintomi principali: i pazienti perdono la capacità di deambulare autonomamente, mentre dal punto di vista respiratorio si realizza un deterioramento progressivo della capacità ventilatoria che, se cronica, necessita il ricorso a una ventilazione assistita o alla tracheostomia.
La malattia di Pompe può essere difficile da diagnosticare, poiché molti dei suoi sintomi sono simili a quelli di altre malattie. Inoltre, per la rarità di casi in cui si presenta, può facilmente non essere riconosciuta o erroneamente diagnosticata. La forma infantile della malattia di Pompe è generalmente più semplice da diagnosticare a causa della sua gravità.
Di recente è stata introdotta la possibilità di fare diagnosi di malattia di Pompe su goccia di sangue essiccata su filtri di carta bibula (Dried Blood Spot). Questa tecnica offre la possibilità di effettuare progetti pilota di screening neonatale per la malattia di Pompe: una diagnosi tempestiva può essere, infatti, di fondamentale importanza, sia per la rapida ingravescenza della patologia sopratutto nella sua forma classica, sia per la presenza di una terapia in grado di modificarne la storia naturale. La conferma della diagnosi, dopo l’esecuzione del DBS, avviene attraverso esami biochimici e/o genetici su campioni di muscolo scheletrico o di fibroblasti o linfociti. Nei bambini affetti dalla forma classica della malattia, l’attività della GAA è praticamente assente, mentre nelle altre forme si riscontrano diversi livelli di attività residua. Il saggio è generalmente condotto nei linfociti, in colture di fibroblasti cutanei e in biopsie muscolari.
Esistono, inoltre, due test di screening prenatale che possono essere eseguiti precocemente in gravidanza (se il bambino è chiaramente a rischio per la malattia, essendo entrambi i genitori portatori del gene difettoso) per scoprire se il feto è affetto dalla malattia di Pompe: il prelievo di un piccolo campione di tessuto della placenta attraverso i villi coriali e l’analisi delle cellule per individuare la presenza o meno dell’enzima GAA viene effettuato entro la 12° settimana di gravidanza. L’amniocentesi viene invece effettuata intorno alla 15°settimana di gravidanza e consente di verificare l’attività enzimatica ed effettuare un’analisi del DNA, testando le cellule prelevate dal liquido amniotico.
Fino ad una decina di anni fa, la malattia di Pompe era una patologia incurabile, senza nessuna terapia in grado di contrastare i danni che la carenza dell’enzima a-glucosidasi (GAA) provocava nelle persone affette. Per questi pazienti le conseguenze erano drammatiche: nelle forme classiche – quelle che si manifestano subito dopo la nascita – il neonato era destinato a morire entro i primi 2 anni di vita, mentre, nelle forme ad esordio tardivo, si assisteva, impotenti, a una importante e progressiva compromissione dei muscoli respiratori e degli arti.
Dal 2006, per il trattamento della malattia, è disponibile la terapia enzimatica sostitutiva con a-lglucosidasi alfa. L’enzima sostitutivo viene prodotto biotecnologicamente e somministrato per via endovenosa. La terapia enzimatica sostitutiva con GAA umano ricombinante prolunga in modo significativo la sopravvivenza del bambino affetto dalla forma classica, riduce significativamente la cardiomiopatia e risulta più efficace se somministrata in uno stadio iniziale della malattia. Nella malattia di Pompe ad esordio tardivo, la terapia enzimatica sostitutiva si è dimostrata efficace nel rallentare la progressione della malattia.
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