Di antibiotici, di antibiotico-resistenza e di come abbassare il rischio di infezione di ceppi resistenti si è parlato durante il convegno “SSN: sostenibilità o sopravvivenza?” organizzato da Sifact, Società Italiana di Farmacia Clinica e Terapia, ribadendo l’importanza fondamentale di implementare programmi di Infection Control e di Antimicrobial Stewardship.

Antimicrobial Stewardship
I programmi di Infection Control e di Antimicrobial Stewardship devono diventare priorità assolute nella lotta all’antibiotico-resistenza

Secondo i dati dell’ECDC – European Centre for Disease Prevention and Controlnel consumo di antibiotici l’Italia è al quinto posto in Europa e tra i paesi a più elevato tasso di microrganismi resistenti. Un primato nella classifica che per una volta non rappresenta un dato positivo. Assumiamo il 50% in più di antibiotici rispetto alla Gran Bretagna, quasi il doppio rispetto a Germania due volte e mezzo rispetto all’Olanda: Siamo anche al, e siamo al primo posto nel consumo di iniettabili (pari al 3% di tutte le forme somministrate).

«L’ultimo Rapporto Osmed 2014 dell’Aifa rivela che l’impiego inappropriato di antibiotici supera il 30% in tutte le condizioni cliniche studiate all’interno della popolazione adulta in carico al MMG” spiega preoccupata Cristina Puggioli, direttore della U.O. Farmacia Clinica del Policlinico S.Orsola di Bologna e presidente del 3° Congresso Sifact, Società Italiana di Farmacia Clinica e Terapia.

I ceppi multi-resistenti, i più pericolosi dei quali sono riuniti sotto l’acronimo ESKAPE, sono responsabili di circa 23mila decessi l’anno negli Stati Uniti e 25mila in Europa e i numeri non fanno che aumentare, in termini sia di casi, sia di decessi, sia di costi diretti e indiretti.

Antibiotico-resistenza, quali le cause?

L’uso troppo disinvolto e spesso indiscriminato di antibiotici è solo uno dei fattori che contribuisce a sostenere il fenomeno dell’antibiotico-resistenza, che in qualche modo rappresenta uno dei prezzi che l’evoluzione della medicina deve pagare. Infatti se i progressi delle tecniche chirurgiche, lo sviluppo della trapiantologia, l’uso esteso dei medical devices, le tante nuove molecole innovative hanno reso curabili molte patologie in passato intrattabili e aumentato la sopravvivenza della popolazione, hanno anche ampliato significativamente le popolazioni di pazienti fragili, maggiormente proni al rischio infettivo, sia in ospedale sia in comunità, determinando di conseguenza un incrementato utilizzo di molecole antimicrobiche.

Tale concatenazione di eventi è particolarmente rilevante e drammatica in ambito nosocomiale: su 9 milioni e mezzo di ricoveri l’anno nel nostro Paese si contano tra le 500 e le 700mila infezioni con un costo umano di 5-7mila vittime (dati Dip. Sanità Pubblica Univ. Di Firenze).

«Il problema è che contro i super batteri l’armamentario farmacologico si sta riducendo troppo rapidamente. La velocità di selezione di stipiti multi-resistenti è purtroppo più veloce di quella con cui la ricerca scientifica porta allo sviluppo di molecole innovative. Poiché il rischio di ritrovarci in un’era post-antibiotica è reale, diventa fondamentale condividere interventi a diversi livelli. Infatti la strategia di riferimento non può essere solo quella di sviluppare e impiegare armi più potenti, ma altresì di prevenire la circolazione di tali patogeni e ridurre il rischio di selezione correlato ad eccessivo utilizzo di antibiotici», afferma Pierluigi Viale ordinario presso Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche all’Università di Bologna.

Cosa fare?

«In tale contesto i programmi di Infection Control e di Antimicrobial Stewardship devono diventare delle assolute priorità per ogni organizzazione sanitaria. Rappresentano sfide tanto difficili quanto irrinunciabili, ma che non possono prescindere dall’evidenza che un terzo delle infezioni ospedaliere sono prevenibili con idonei comportamenti così come i margini di miglioramento dell’appropriatezza prescrittiva degli antimicrobico siano significativamente ampi. Con riferimento a quest’ultimo aspetto è necessario che ogni singolo medico cambi la propria visione della terapia antimicrobica, accettando che il contratto terapeutico relativo alla prescrizione di tali farmaci non vede come protagonisti solo il medico e il suo paziente, come avviene normalmente, ma anche tutto l’ecosistema in cui il paziente vive, che non deve essere esposto ad eccesso di esposizione» continua Pierluigi Viale.

Antimicrobial Stewardship

La stewardship antimicrobica è stata definita dalle linee guida della Società Americana di Malattie Infettive “un matrimonio tra le necessità del singolo medico e quelle dell’intero sistema sanitario”, e certamente tale descrizione ne sposa perfettamente le finalità, incentrate sul concetto di istituire idonee politiche prescrittive, per tutti i livelli assistenziali per i quali sia necessario utilizzare un antimicrobico.

Non esiste una stewardship antimicrobica universale, ma ogni progetto deve essere tagliato su misura rispetto alle finalità e alle necessità dell’organizzazione sanitaria di riferimento, con obiettivi e modalità di effettuazione variabili in rapporto al livello di incongruità percepito, all’entità dei consumi sui quali si ritiene di intervenire ed alle disponibilità di personale da dedicare.

Possono essere messe in atto azioni restrittive, con limitazione all’accesso a specifiche molecole, ovvero azioni persuasive con coinvolgimento attivo dei singoli prescrittori in progetti di implementazione culturale, ma certamente la creazione di gruppi di lavoro multidisciplinari in cui infettivologi, farmacisti e microbiologi collaborino con pari livello di responsabilità è un presupposto imprescindibile per garantire efficacia e stabilità dei risultati raggiunti.

Molte speranze e intriganti ipotesi di lavoro circondano l’attuale fase di rinascimento tecnologico e metodologico della diagnosi microbiologica che, messa in mani adeguate, potrebbe rappresentare uno strumento di elevata potenzialità clinica e gestionale. Tuttavia regnano ancora molte incertezze riguardo le corrette metodologie da perseguire. Il dibattito scientifico su cosa sia meglio tra progetti “coercitivi” o “persuasivi” è aperto e mancano ancora studi con tempi di follow-up sufficienti a verificare l’effetto a lungo tempo dei progetti di stewardship rispetto all’evoluzione delle resistenze e alla capacità di mantenere nel tempo i risultati ottenuti nelle fasi iniziali.

 

Per approfondire:

Relazione tra uso (eccessivo) di antibiotici e sviluppo di resistenze in uomini e animali