MSD annuncia in un comunicato stampa di aver presentato al Meeting annuale AASLD di San Francisco diversi studi clinici di fase II e III che confermano la robustezza dei dati di efficacia e sicurezza dell’associazione fissa dei due agenti antivirali diretti (DAA – Direct Antiviral Agents) grazoprevir/elbasvir in popolazioni di pazienti trasversali, con genotipi diversi e con diverse necessità terapeutiche, compresi i pazienti con cirrosi, co-infezione HIV-HCV, insufficienza renale avanzata e precedenti fallimenti terapeutici, anche con inibitori delle proteasi di prima generazione.
Nella maggior parte dei pazienti è stata raggiunta la risposta virologica sostenuta (SVR) dopo 12 settimane di trattamento, con uno schema terapeutico ribavirin-free e una conseguente riduzione sensibile degli effetti collaterali.
I primi dati di fase II dello studio C-CREST sulla “tripletta” MK-3682 in combinazione con grazoprevir/elbasvir aprono nuove prospettive di efficacia terapeutica per tutti i genotipi di HCV indagati.
Grazoprevir/elbasvir, in monosomministrazione giornaliera, libera da interferone e nella maggior parte dei casi anche da ribavirina, con cicli terapeutici di breve durata, maneggevoli e scarsamente tossici, ha ottenuto dalla FDA la designazione di terapia innovativa e il via libera di EMA con procedura accelerata alla domanda di autorizzazione all’immissione in commercio.
«L’efficacia e la sicurezza di grazoprevir/elbasvir sono state investigate in tutte le categorie di pazienti, anche in quelli “difficili” da trattare – afferma Savino Bruno, professore straordinario di Medicina Interna alla Humanitas University Medicine di Rozzano (Milano) – i risultati si riferiscono sia a pazienti che non avevano ricevuto trattamento (naive) sia a pazienti non responsivi a precedenti trattamenti con peginterferone e ribavirina, sia a quelli che avevano fallito il trattamento con gli inibitori delle proteasi di prima generazione; a queste due ultime categorie apparteneva quasi la metà dei pazienti inclusi nello studio C-EDGE. I risultati sono stati molto buoni, con alti tassi di risposta virologica compresi tra il 92% e il 97%, elevato profilo di sicurezza e maneggevolezza».
«Nei pazienti con infezione da HIV il trattamento della patologia epatica HCV correlata rappresenta un bisogno talvolta non procrastinabile. Grazoprevir/elbasvir ha mostrato un eccellente profilo di efficacia e di sicurezza nei pazienti coinfetti, garantendo una quota di successo terapeutico superiore al 95%, indipendente dalle caratteristiche demografiche, virologiche, dal trattamento anti-HIV o dalla presenza di cirrosi – spiega Gloria Taliani, professore ordinario di Malattie Infettive alla Sapienza Università di Roma – il trattamento anti-HCV è di grande importanza strategica anche nei pazienti con malattia renale cronica: uno studio di modeling matematico, basato su dati di storia naturale senza trattamento e su dati di efficacia di grazoprevir/elbasvir in pazienti con malattia renale cronica e infezione da HCV genotipo 1, ha evidenziato una riduzione del rischio di incidenza di scompenso epatico nel corso della vita dal 22% al 3,8%, una riduzione del rischio di carcinoma del fegato dal 26% all’1%, un incremento dell’attesa di vita da 18 a 26 anni ed una riduzione della mortalità attesa per malattie di fegato dal 35,7% allo 0,3%».
Uno dei problemi più frequenti delle nuove terapie per l’HCV nel trattamento dei pazienti con coinfezione HCV-HIV è quello legato alla co-somministrazione di farmaci anti-HIV e anti-HCV, che espone a interazioni farmacologiche e a maggiore tossicità.
«Evitare la ribavirina e la sua tossicità, senza perdere efficacia, è quello che i clinici auspicano, senza peraltro che questo sia oggi sempre possibile – sottolinea Carlo Federico Perno, professore di Virologia all’Università Tor Vergata di Roma – gli studi clinici dimostrano che l’aggiunta di ribavirina non sembra aumentare ulteriormente l’efficacia, già piuttosto elevata, di grazoprevir ed elbasvir, soprattutto se il trattamento è mantenuto per un tempo congruo. Oggi i dati relativi all’efficacia di grazoprevir/elbasvir suggeriscono che potremo trattare la maggioranza dei pazienti senza l’uso di ribavirina e senza i suoi sgradevoli effetti collaterali. Con grazoprevir ed elbasvir si aprono nuovi possibili scenari di efficacia senza la tossicità della ribavirina e dell’interferone, anche per i pazienti più difficili della nostra pratica clinica».
«Lo studio C-CREST, condotto su 240 pazienti con vari genotipi di HCV, ha esplorato l’efficacia e la sicurezza della combinazione grazoprevir/elbasvir con un terzo farmaco, MK-3682. La “tripletta”, affrontando il virus in tre differenti siti di replicazione, ha raggiunto un’efficacia terapeutica piuttosto alta con la capacità di coprire tutti i genotipi di HCV – sottolinea Antonio Craxì, professore ordinario di Gastroenterologia all’Università degli Studi di Palermo – in particolare, nel genotipo 3 si è ottenuto il 90-91% di eradicazione di HCV, una percentuale decisamente più elevata di quanto ottenibile da qualunque combinazione di DAA attualmente disponibile per l’uso clinico. Da segnalare altri due punti a favore della tripletta di DAA in questione: la combinazione funziona a livelli ottimali di risposta con cicli di 8 settimane di cura, dunque con una durata del 30% inferiore ai regimi di DAA attualmente impiegati; non viene più impiegata, nella tripletta come anche nella duplice combinazione grazoprevir/elbasvir, la ribavirina».
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