La convalida della clean room rappresenta un punto critico dello sviluppo del processo di produzione dei medicinali e richiede l’attenta valutazione del rischio di contaminazione microbiologica del prodotto, degli ambienti di produzione e delle misure di prevenzione messe in atto.
I layout di stabilimento più moderni cercano di risolvere questo problema attraverso la crescente implementazione delle produzioni in aree a elevato contenimento, con l’uso di isolatori, mini-isolatori o dei cosiddetti Rabs (restricted access barriers). Questi sistemi richiedono una convalida più complessa in fase di avvio dell’impianto, ma risultano in una più semplice gestione di esercizio. A meno che si rendano necessari interventi di pulizia o manutenzione straordinari, infatti, l’isolatore permette di mantenere più a lungo la sterilità dell’ambiente interno nel tempo senza bisogno di riconvalida. «La cosa più complessa e costosa è la progettazione iniziale: bisogna pensare il processo in tutti i particolari, con tutte le attrezzature necessarie, che sarebbe difficile introdurre o modificare in seguito. Una volta validato il ciclo di sterilizzazione, di lavaggio e di risterilizzazione, l’isolatore è come un’autoclave, si fa una riconvalida annuale», spiega Gaetano Fiorentino, QA supervisor di Italfarmaco.
A seconda della soluzione adottata, inoltre, cambiano anche le modalità delle convalide accessorie, come quella dei media fill, che nella clean room tradizionale va eseguita due volte l’anno, mentre nel caso di barriere fisiche basta una convalida annuale.
Gli elementi critici
Uno dei punti critici per l’entrata di contaminanti batterici è rappresentato dall’impianto di condizionamento HVAC, in cui l’aria esterna non trattata é purificata attraverso una serie di filtri HEPA, di sistemi di contenimento dell’umidità e di batterie di pre- e post-riscaldamento. Secondo l’attuale normativa, I sistemi di condizionamento devono abbattere almeno il 99,997% delle particelle con diametro superiore agli 0,3 micron. «E’ anche importante determinare la direzione dei flussi aeraulici dell’aria. Il riempimento in zona sterile A richiede che il flusso dell’aria sul piano macchina sia perfettamente laminare», spiega Andrea Pranti, QA manager di Novartis Vaccines.
Un altro punto critico è rappresentato dalle operazioni di riempimento sterile con macchina tradizionale ad aghi, che richiede un’attenta valutazione del posizionamento dei punti di campionamento. Da questo punto di vista, il nuovo Annex 15 delle GMP richiede una spiegazione razionale della scelta dei punti critici e degli strumenti, quali l’Hccp o l’Fmea, utilizzati per verificare il coefficiente di rischio sul prodotto.
Il campionamento e la riconvalida
Il prelievo dei campioni avviene tramite campionatori attivi che aspirano aria dall’ambiente e la convogliano su un terreno di coltura che, una volta incubato, permette la crescita degli eventuali microrganismi presenti. Secondo l’attuale normativa, questi devono poi essere identificati. «Anche in questo caso devono essere identificati i punti critici in cui andare a monitorare, ad esempio la maniglia della porta, che è lo strumento con cui l’operatore esegue l’apertura della porta», sottolinea il QA manager di Novartis Vaccines. Il monitoraggio continuo è già una realtà per i test particellari e in futuro potrebbe diventarlo anche per i test microbiologici.
Il principale test rapido in uso è la bioluminescenza, che permette di valutare in modo qualitativo la presenza di microrganismi. In caso di positività, l’analisi deve essere poi approfondita per identificare e quantificare il microrganismo contaminante. I test rapidi offrono il vantaggio di poter monitorare l’andamento della produzione su tempi brevi (circa 48 ore, contro i 15 giorni dei metodi tradizionali): si possono così avviare prontamente le eventuali azioni correttive per ripristinare il livello di classe. «Nella clean room, al contrario, interessa fin da subito il dato quantitativo. Al momento non sono ancora disponibili test rapidi su clean room per la produzione di soluzioni sterili parenterali, mentre sono già stati introdotti per soluzioni quali i colliri, che si prestano bene a questo tipo di tecnologie», aggiunge Fiorentino. Una delle principali fonti di rischio di contaminazione, inoltre, è proprio rappresentata dai terreni per la cattura e la crescita dei microrganismi che devono essere introdotti in camera sterile se si utilizzano i metodi di campionamento tradizionali.
In caso di contaminazione, l’intero processo deve essere nuovamente riconvalidato per assicurare il ripristino della sterilità, a partire dalle operazioni di pulizia e disinfezione e dai biocidi utilizzati, che devono essere identificati sulla base di un’analisi di rischio. «La validazione dei biocidi deve avvenire anche sui microrganismi generati dall’azienda stessa per motivi di ricerca, di solito più resistenti», sottolinea Pranti.
QRM e fattore umano
L’intero iter di convalida deve essere eseguito secondo il concetto di quality risk management introdotto con la revisione dell’Annex 15 delle GMP. «E’ la chiave di volta per la convalida di ambianti sterili», sottolinea Andrea Pranti. Il nuovo Annex 15 presta una maggiore attenzione rispetto al passato al design dell’intero processo (quality by design), all’analisi di rischio, alla gestione delle deviazioni e all’intero ciclo di vita del prodotto.
Tra i vari fattori di rischio, sicuramente il fattore umano è uno dei principali: la valutazione del rischio passa quindi anche dal considerare i materiali usati per la vestizione degli operatori, la loro formazione e le procedure stesse di vestizione e svestizione, oltre che il tempo passato all’interno della clean room. «L’operatore viene monitorato in cinque punti, e in generale tutte le zone dove ci sono i sistemi di chiusura, per verificare che non agisca da carrier per l’introduzione di contaminanti nell’area sterile», spiega Pranti. In caso di modifica nei flussi del personale, inoltre, è necessario aprire una procedura di cambio ed effettuare un nuovo training.