Gli effetti dei disastri naturali sull’insufficienza cardiaca sono stati valutati in uno studio che ha correlato l’incidenza con il grado di impatto dello tsunami del 2011 in Giappone.

Nelle aree più colpite il numero dei casi era 1,66 volte più elevato nell’anno dello tsunami e rimaneva alto in due anni successivi rispetto al numero di quelli attesi, calcolato sulla base degli anni 2009 e 2010 precedenti al disastro. Nelle zone meno colpite non si sono osservate differenze significative nell’incidenza.

Lo studio è stato presentato all’ESC Congress 2016

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Uno studio ha valutato gli effetti dei disastri naturali sull’insufficienza cardiaca. L’incidenza è risultata proporzionale alla percentuale di popolazione evacuata in seguito allo tsunami del 2011 in Giappone.

«Stress, traumi e cuore non sono buoni amici e se un po’ di emozioni sono di certo le spezie dell’esistenza, l’eccesso ha effetti diretti sull’organo cardiaco – spiega Leonardo Bolognese, direttore Cardiologia ospedale di Arezzo. Già alcuni studi avevano mostrato un aumento dei casi di insufficienza cardiaca congestizia (CHF) dopo il terremoto e lo tsunami che hanno colpito il Giappone nel 2011, ma si trattava di studi che riferivano dei dati episodici mentre all’ESC 2016 viene presentata una nuova ricerca giapponese che si è posta l’obbiettivo di determinare gli effetti a lungo termine del disastro mettendo a confronto dati clinici degli abitanti di aree più vicine all’epicentro del disastro in un periodo di 2-4 anni, misurando i dati epidemiologici secondo i parametri dello studio Framingham».

Le caratteristiche dell’evento

L’11 marzo 2011, un terremoto di magnitudo 9 della scala Richter con epicentro nel nord est del Giappone ha provocato un violento tsunami. Il disastro ha provocato la morte di oltre quindicimila persone ed effetti che si sono protratti per molti mesi. Migliaia di persone hanno perso la propria casa e hanno vissuto in ricoveri senza gas, acqua, elettricità e collegamenti telefonici.

La severità dei danni in ogni comune colpito è stato valutato sulla percentuale di inondazione. Le aeree più severamente colpite erano definite da un valore PFTA maggiore del 30% (alto impatto) mentre le zone con PFTA inferiore a 30 sono state assegnate come aree di controllo in cui l’impatto del disastro era stato più basso.

Gli effetti cardiovascolari

L’incremento dei casi di sindrome coronarica acuta, cardiomiopatie, embolismo polmonare ed eventi acuti cerebrovascolari si è evidenziato immediatamente, sia a causa dello stress acuto sia della mancanza di servizi efficienti.

Un precedente studio (Stroke, 2013; 44 1518-1524) aveva rivelato che il rateo di incidenza di CHF tra gli uomini anziani nelle aree più colpite dagli allagamenti era raddoppiato durante le 4 settimane successive dalla data del disastro.

Altre ricerche avevano già mostrato importanti alterazioni della pressione sanguigna, aumento dei livelli serici di colesterolo, trigliceridi, ematocrito, fibrinogeno dopo forti terremoti, uragani, incidenti nucleari.

Lo stress mentale, la paura e i drammatici cambiamenti ambientali causano una anomala attivazione del sistema nervoso simpatico che determina cascate ormonali. Queste interferiscono con pressione arteriosa e attività delle piastrine, fattori che possono agire come ‘scatenanti’ di eventi cerebrovascolari.

Duranti i 6 anni di sorveglianza sono stati identificati 2059 nuovi casi di CHF. Il rateo di incidenza standard durante il 2011 e nel triennio successivo 2012-2014 è stato determinato dal numero dei casi osservati in relazione a quelli attesi calcolati sulla base degli anni 2009 e 2010 precedenti al disastro.

Quando il rateo di incidenza dell’insufficienza cardiaca è stato paragonato tra le aree più colpite e quelle meno interessate, il numero dei casi era 1,66 volte più elevato nell’anno dello tsunami e rimaneva alto in due anni successivi, mentre nelle zone meno colpite non si evidenziavano differenze significative nell’incidenza.

I casi erano direttamente proporzionali all’impatto sull’ambiente e sulla percentuale di popolazione evacuata.