La sorveglianza attiva per il tumore della prostata attuata nello studio, che è in corso da undici anni, consiste nel monitorare un tumore della prostata non pericoloso, evitando o ritardando gli effetti collaterali delle terapie radicali: prostatectomia o radioterapia.
La Sorveglianza Attiva nasce per limitare l’eccesso di trattamenti e i relativi importanti effetti collaterali:
- incontinenza urinaria e disfunzione erettile sono i due problemi principali che possono insorgere nei pazienti sottoposti a intervento di prostatectomia radicale,
- disfunzione erettile e sanguinamento rettale o urinario si verificano spesso in seguito a radioterapia.
La diagnosi precoce, infatti, ha portato a un aumento del numero di pazienti con tumori cosiddetti indolenti, ovvero di quelle forme di grado basso e a crescita lenta, che prima della diffusione del PSA, spesso non venivano diagnosticate.
«La sorveglianza attiva è la risposta a una necessità di oggi, ma non è la strada del futuro – spiega Riccardo Valdagni, direttore della Radioterapia Oncologica 1 e del Programma Prostata Istituto Nazionale Tumori di Milano, professore associato del Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia dell’Università degli Studi di Milano. – Per questo molti gruppi internazionali, compreso l’INT, stanno lavorando su metodologie per la caratterizzazione biologica dei tumori, attraverso la biopsia liquida per esempio. L’obiettivo è di individuare alla diagnosi i pazienti che hanno tumori che nella vita non evolveranno. Ci attendono risultati concreti nei prossimi cinque anni. E a quel punto, in determinati casi potrebbe essere pure tolto il nome di adenocarcinoma, sostituendolo con quello di “lesioni indolenti”. Quindi, nel comunicare al paziente e ai suoi familiari la diagnosi non ci sarà l’impatto psicologico che ancora oggi ha la parola tumore».
«Si tratta di uno dei più ampi studi condotto da un singolo istituto a livello europeo, comparabile con le più importanti coorti nord americane – afferma Riccardo Valdagni. – È in sostanza la più grande casistica italiana di pazienti con tumore della prostata a basso rischio attraverso la quale abbiamo potuto identificare un approccio alla malattia molto diverso rispetto al passato».
«Un ulteriore fiore all’occhiello per il nostro Istituto che sottolinea ancora una volta ciò che rappresenta l’INT: un importante Centro di riferimento nazionale ed internazionale per una ricerca di valore e il trasferimento in tempi rapidi delle scoperte dal laboratorio di ricerca al letto del paziente. Non è poco, perché significa offrire maggiori probabilità di successo delle terapie e una migliore qualità di vita». – precisa Enzo Lucchini, presidente Istituto Nazionale Tumori di Milano.
In totale sono stati arruolati e seguiti 818 pazienti con tumore della prostata ad andamento indolente, che sono stati sottoposti a monitoraggio continuativo con l’obiettivo principale di ridurre o differire i trattamenti curativi.
«Il dato estremamente positivo emerso dallo studio – commenta Riccardo Valdagni – è che a distanza di cinque anni, il 50% dei pazienti è ancora nel programma di sorveglianza attiva. In più, non si sono verificati decessi a causa del carcinoma prostatico e neppure metastasi. Questo significa che la metà dei pazienti arruolati, a 5 anni dalla diagnosi, ha potuto evitare gli effetti indesiderati di un trattamento curativo non necessario e quindi inappropriato».
Secondo i dati 2016 AIOM/AIRTUM, il tumore alla prostata è il più frequente tra gli uomini a partire dai 50 anni, con 36mila nuove diagnosi ogni anno. Di questi, almeno il 30% potrebbe avere una forma con caratteristiche tali da “entrare” in un Programma di Sorveglianza Attiva.
«Lo studio è nato da una necessità nota da tempo, che riguarda non soltanto il tumore della prostata: ridurre l’overtreatment, vale a dire l’eccesso di trattamenti radicali, il più delle volte gravati da rilevanti effetti collaterali – chiarisce Giovanni Apolone, direttore Scientifico dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano. – Nessuno mette in dubbio la validità delle strategie terapeutiche disponibili, questo va precisato. Ma nel caso dei tumori indolenti potrebbero essere evitate per tutta la vita oppure posticipate seguendo il paziente in un programma di sorveglianza attiva».
I trattamenti attualmente utilizzati per il tumore iniziale della prostata sono sostanzialmente l’intervento chirurgico o la radioterapia, che possono però influenzare negativamente la qualità di vita del paziente. Questo studio conferma la fattibilità e la sicurezza della sorveglianza attiva che si configura come una delle strategie di cura a disposizione.
«L’INT è stato a tutti gli effetti il primo Istituto oncologico in Italia a offrire ai propri pazienti la possibilità di entrare in un programma di sorveglianza, che è diventato ormai pratica clinica – sottolinea Riccardo Valdagni. – Presuppone però che il paziente sia seguito all’interno di protocolli di riferimento precisi e nell’ambito di un percorso sistematico e definito».
«Per l’esperienza maturata, l’INT svolge ricerche indipendenti, no profit, non sponsorizzate o non sponsorizzabili – aggiunge Luigi Cajazzo, direttore generale Istituto Nazionale Tumori di Milano – confermando il ruolo del pubblico per tali ricerche etiche».
Tutti i pazienti vengono sottoposti annualmente a due controlli clinici con palpazione della ghiandola prostatica e a quattro analisi del PSA. Al termine del primo anno dopo l’entrata e periodicamente durante il programma di sorveglianza attiva, bisogna anche ripetere la biopsia. I pazienti candidati sono selezionati e seguiti in base a protocolli ben precisi: «Sono criteri di sicurezza indispensabili – chiarisce Riccardo Valdagni – che ci permettono di interrompere tempestivamente il programma di sola osservazione in caso di modifiche delle caratteristiche iniziali della malattia e inviare il paziente ai trattamenti attivi».
«Naturalmente la sicurezza della sorveglianza attiva è garantita dalla presenza di un buon team multidisciplinare che si occupa del paziente sia dal punto di vista clinico, sia psicologico quando necessario» – continua Riccardo Valdagni.
A dimostrazione del peso di un’équipe composta da più voci, c’è anche il dato relativo a chi ha cambiato strada e ha deciso di non aderire più allo studio. È stata infatti registrata l’uscita a causa di uno stato di ansia solo del 1,1% dei partecipanti. «I due attori principali del team sono l’urologo e l’oncologo radioterapista, ai quali si aggiunge lo psicologo che in caso di bisogno supporta il paziente nella scelta tra le opzioni terapeutiche e la sorveglianza attiva – afferma Riccardo Valdagni. – Soltanto così il paziente può ricevere un’informazione trasparente, come indicato dalle linee guida».
E se possiedono i criteri di un tumore indolente, i maggiori beneficiari potrebbero essere proprio i pazienti giovani, under 60, la cui qualità di vita può essere più a lungo compromessa dagli effetti collaterali dei trattamenti e che hanno più probabilità di rimanere nel tempo in sorveglianza attiva.
Le casistiche di Sorveglianza Attiva, inoltre, stanno contribuendo a sfatare il preconcetto che il tumore della prostata sia più aggressivo nei pazienti giovani. Si può proporre la sorveglianza anche a pazienti giovani senza particolari rischi. «Se rientrano nei criteri stabiliti, – precisa Riccardo Valdagni – in caso di tumore indolente, infatti, non esiste un rischio di aggressività maggiore rispetto alle forme insorte negli anziani. Anzi, abbiamo notato che gli under 60 rappresentano la fascia di pazienti che rimane più a lungo nel Programma di Sorveglianza Attiva».
«Quando mi è stata proposta la sorveglianza attiva non ho avuto dubbi, ho accettato e non ho mai messo in discussione la mia scelta, nonostante il parere contrario di alcuni amici cari – racconta Vincenzo, libero professionista. – Ho 55 anni, mi sono detto, il mio tumore ha le caratteristiche “giuste”, perché dovrei scegliere una soluzione più aggressiva? Sono entrato nel programma a marzo scorso e il periodo peggiore è stato quello dell’attesa, il tumore era il mio chiodo fisso e avevo paura che di colpo cominciasse a crescere. Ora non ci penso più, ho ripreso la mia vita di sempre, lavoro compreso, e il fatto di essere sottoposto a controlli costanti mi fa stare tranquillo».
Sintesi dello studio di sorveglianza attiva per il tumore della prostata
La ricerca “Eleven-year management of prostate cancer patients on active surveillance: What have we learned?” è stato pubblicato sul Tumori Journal (numero di giugno 2017).
Lo studio è iniziato in Istituto nel 2005 e nel 2007 è iniziata la collaborazione con il gruppo internazionale PRIAS (Prostate Cancer Research International Active Surveillance), coordinato dall’Erasmus University Medical Center di Rotterdam, in Olanda.
Il protocollo permette l’inclusione di uomini con tumore della prostata di basso grado, con precise caratteristiche cliniche e della biopsia prostatica.
Tra marzo 2005 e ottobre 2016 ha arruolato e seguito 818 pazienti, di età compresa tra i 42 e i 79 anni.
Il monitoraggio prevede uno schema di controlli definito: analisi del PSA ogni tre mesi, l’esplorazione rettale ogni sei mesi, la ripetizione della biopsia prostatica dopo 1 anno dalla diagnosi e successivamente a intervalli determinati, in generale ogni tre anni.
In caso di cambiamento delle caratteristiche di malattia è prevista l’interruzione della sorveglianza e la ridiscussione del programma terapeutico.
Lo studio è condotto da un team di specialisti del Programma Prostata di:
- Dipartimento di Oncologia e Onco-Ematologia dell’Università degli Studi di Milano,
- Divisioni di Urologia, Radioterapia Oncologica, Radiologia, Anatomia Patologica, Oncologia Sperimentale, Medicina Molecolare dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.
Sintesi dei risultati dello studio
Dopo cinque anni di sorveglianza, il 50% dei pazienti ha evitato un trattamento e sta ancora proseguendo il solo monitoraggio.
Soltanto l’1,1% dei partecipanti (9 su 818) ha preferito interrompere la sorveglianza attiva e fare un trattamento a causa dell’ansia derivata dalla malattia.
Nessuno dei pazienti entrati in sorveglianza attiva ha sviluppato metastasi o è deceduto per il cancro della prostata.
Possibilità terapeutiche per il tumore della prostata
Esiste un ventaglio piuttosto consistente di terapie disponibili:
- prostatectomia radicale,
- radioterapia radicale,
- ormonoterapia,
- chemioterapia,
- terapia radiometabolica,
- sorveglianza attiva.
La scelta è effettuata in base a una serie di variabili che considerano, tra l’altro:
- l’estensione di malattia,
- l’aggressività della malattia,
- la diffusione della malattia locale o sistemica,
- la presenza di altre malattie concomitanti.
Per questo è importante rivolgersi a Istituti dove sia disponibile un’équipe multidisciplinare o una Prostate Cancer Unit, composta da tutte le figure specialistiche coinvolte nella cura del tumore alla prostata.
La Fondazione IRCCS – Istituto Nazionale dei Tumori (INT)
La Fondazione IRCCS – Istituto Nazionale dei Tumori (INT) è un istituto pubblico di ricovero e cura a carattere scientifico. Fondato nel 1928, l’INT è centro di riferimento nazionale e internazionale sia per i tumori più frequenti che per quelli più rari e pediatrici. Definito come “Comprehensive Cancer Center” secondo quanto stabilito dall’Organizzazione degli Istituti del Cancro Europei (OECI), è oggi polo di eccellenza per le attività di ricerca pre–clinica, traslazionale e clinica, di assistenza ed epidemiologica.
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