La sovradiagnosi e la definizione di malattia sono due concetti strettamente correlati, in quanto la seconda è un elemento essenziale che va a determinare la possibilità che si realizzi la prima. La diretta e più immediata conseguenza di tale legame è una possibile eccessiva prescrizione di trattamenti farmacologici, che potrebbero comportare effetti avversi maggiori degli attesi benefici.
La Fondazione Gimbe ha recentemente pubblicato su Evidence la versione italiana delle nuove linee guida su come modificare la definizione di malattia redatte dal Guidelines International Network (GIN) Preventing Overdiagnosis Working Group.

La letteratura scientifica negli ultimi anni ha ampiamente dimostrato che l’estensione delle definizioni di malattia è un fenomeno diffuso in tutte le aree specialistiche, ma che al tempo stesso mancano standard condivisi per identificare e prevenire modifiche inappropriate“, ha ricordato il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta.
I rischi di sovradiagnosi citati dall’articolo di Evicence riguardano ad esempio malattie quali l’ipertensione, l’ADHD, l’insufficienza renale cronica, l’osteoporosi o il pre-diabete.

Uno dei driver principali per questa tendenza tra quelli individuati dal gruppo di lavoro del GIN è la possibilità di ampliare le indicazioni terapeutiche. L’articolo sottolinea come in alcuni casi le modifiche alle definizioni di malattia potrebbero anche non avere alcuna implicazione terapeutica, come ad esempio nel caso della malattia di Alzheimer in fase preclinica. Non meno significativi possono essere i bias determinati dalla possibile presenza di conflitti d’interesse nei membri dei panel, conflitti che l’articolo descrive come “sia finanziari, sia di natura intellettuale ed emotiva”.

Pesare correttamente il rapporto rischio-beneficio

Alla base del problema, secondo gli esperti del GIN, vi sarebbero le attuali modalità di valutazione del rapporto rischio/beneficio di una terapia, che attraverso le definizioni più ampie di malattia tendono a premiare il ricorso a interventi terapeutici nelle fasi più lievi e precoci della stessa. I benefici apportati da tale approccio sarebbero però relativamente bassi, in quanto “il beneficio terapeutico assoluto di solito è direttamente proporzionale alla severità della malattia o al rischio di base”. Al contrario, gli effetti avversi associati a un certo farmaco tendono a presentarsi con la stessa probabilità indipendentemente dallo stadio della malattia e dal rischio di base.

Secondo la Fondazione Gimbe, il problema alla base dell’allargamento della definizione di malattia andrebbe ritrovato nel modo con cui agiscono i panel delle società scientifiche che elaborano le linee guida per la pratica clinica. Questi di gruppi di esperti, è l’opinione della Fondazione Gimbe, modificherebbero le soglie di malattia senza valutare rigorosamente l’impatto sulla prevalenza, e soprattutto i potenziali effetti avversi collegati alle modifiche proposte. Non bastano quindi, per Nino Cartabellotta, gli standard internazionali già previsti dal Sistema Nazionale delle Linee Guida per la redazione di linee guida valide e trasparenti.

Una checklist per definire le malattie in modo corretto

Le linee guida del Guidelines International Network si basano su una checklist che dovrebbe assistere gli esperti dei panel nelle loro valutazioni sugli impatti attesi. Checklist che comprende otto diverse voci, a partire dal definire la malattia sotto esame sulla base delle le differenze tra la nuova definizione e quelle precedenti. Andrebbe anche valutato l’impatto epidemiologico della modifica, per stabilire in che misura la nuova definizione di malattia modificherà l’incidenza e/o la prevalenza della malattia.
Non meno importante è un’attenta valutazione delle motivazioni che spingono a modificare la definizione di malattia, e di come quest’ultima vada a modificare di conseguenza l’abilità prognostica dei medici e impatti sulla capacità di predire esiti clinicamente rilevanti.
La definizione di malattia deve anche sempre rispondere a criteri di precisione e accuratezza, che permettano di stabilire qual è il grado di ripetibilità, riproducibilità e accuratezza della nuova definizione rispetto alle precedenti.
Vanno inoltre valutati da un lato i benefici incrementali per i pazienti che rientrerebbero nella nuova definizione rispetto alla precedente, dall’altro gli effetti avversi incrementali che potrebbero colpire questa platea allargata di potenziali soggetti al trattamento. Da ultimo, avrebbero anche sempre valutati i benefici e gli effetti avversi netti di cui godrebbero o soffrirebbero i pazienti rispetto ai trattamenti standard già in uso. “Per evitare che i potenziali rischi di sovradiagnosi e sovratrattamento danneggino i “nuovi malati” occorre grande cautela nel modificare le soglie di malattia – ha aggiunto il presidente della Fondazione Gimbe, che auspica anche l’adozione della checklist da parte di tutte le società scientifiche italiane impegnate nella produzione di linee guida per la pratica clinica -. In particolare, tali modifiche dovrebbero sempre migliorare il profilo rischio/beneficio a livello di popolazione”.

La metodologia utilizzata

La stesura della linea guida sulla modifica della definizione di malattia è partita dalla constatazione dell’assenza di criteri condivisi per effettuare tali modifiche. Il , che comprende al suo interno 107 organizzazioni, ha quindi costituito un gruppo di lavoro multidisciplinare di 13 membri provenienti da tutte le aree geografiche, tra cui alcuni componenti del gruppo di lavoro Grade e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’elaborazione della checklist è stata affrontata secondo il framework metodologico dell’Equator Network per le linee guida per il reporting, che comprende la revisione sistematica della letteratura, la stesura di una bozza, la conduzione di un sondaggio e un processo di consenso con metodo Delphi, l’organizzazione di meeting face-to-face di un giorno e le modifiche finali alla checklist.
Le criticità identificate dall’analisi della letteratura scientifica sulla materia hanno guidato la stesura della checklist. Esse comprendono la chiarezza della definizione, il suo potenziale errato utilizzo, la consistenza, gli effetti su incidenza e prevalenza della malattia, le modifiche alla storia naturale della malattia, l’efficacia del trattamento, gli effetti avversi inclusi quelli psicologici ed economici, l’utilità della definizione di malattia a livello individuale e sociale.