Numerosi aspetti della terapia farmacologica, come la posologia e gli effetti collaterali, risentono di una tipicità legata al sesso, quindi si va sempre più diffondendo il concetto di medicina di genere, con focus su epidemiologia, prevenzione, diagnosi e terapia. In area cardiovascolare, in particolar modo, per molte decadi, la ricerca si è focalizzata prevalentemente sui maschi adulti, a discapito del sesso femminile, poiché, soprattutto nella fase di sviluppo di un farmaco, alcuni aspetti come la vita riproduttiva e le comorbilità rendono la donna un soggetto più problematico nella sperimentazione.

Oltre a quelle biologiche vi sono differenze di tipo culturale, sociale e di “ruolo”, che vedono la donna essere più facilmente caregiver e meno attenta alla propria salute generale e cardiovascolare in particolare, rispetto alle aree ginecologica, tumorale, artrosica e infiammatoria.

Le malattie cardiovascolari nella donna
Le differenze tra le malattie cardiovascolari nella donna e nell’uomo rendono necessario approfondire la conoscenza delle caratteristiche specifiche per ottimizzare le terapie

«La sotto-rappresentazione del genere femminile negli studi clinici limita le possibilità di orientare correttamente le scelte decisionali atte a garantire pari opportunità ed equa distribuzione delle cure cardiovascolari, influendo su diagnosi, efficacia, appropriatezza e dunque sicurezza delle terapie. Dal momento che la conoscenza delle specificità di sesso e di genere è diventata fondamentale anche in questo ambito, Onda, continua a dare il proprio contributo al consolidamento di un approccio genere specifico, attraverso l’organizzazione di campagne di sensibilizzazione rivolte alla popolazione e di attività di formazione e aggiornamento per la classe medica» – spiega Francesca Merzagora, presidente di Onda (Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere), nell’ambito del convegno “Sicurezza e Malattie Cardiovascolari nella Donna”, organizzato dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere (Onda) e Daiichi Sankyo Italia.

Donne e patologie cardiovascolari: epidemiologia

Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte tra le donne, con un numero assoluto di morti superiore rispetto al sesso maschile, tuttavia il tasso di mortalità cardiovascolare “prematura” (prima dei 75 anni di età) è di gran lunga superiore negli uomini, dunque la mortalità cardiovascolare è maggiore nelle donne ma più tardiva. È stato ipotizzato, ma non dimostrato, che questo vantaggio biologico delle donne rispetto agli uomini sia almeno in parte dovuto a un effetto protettivo degli estrogeni sul sistema cardiocircolatorio, eppure le terapie ormonali in post-menopausa non hanno finora dimostrato efficacia nel ridurre la progressione né dell’aterosclerosi né degli eventi vascolari.

Il vantaggio relativo di salute nel caso delle donne è però attenuato da un tasso di mortalità dovuta ad attacchi coronarici che supera quello maschile (32% vs 27%).

Vi sono importanti differenze nelle varie patologie cardiovascolari, ad esempio:

  • le manifestazioni della cardiopatia coronarica differiscono tra i sessi,
  • è più probabile che l’infarto miocardico non sia riconosciuto nelle donne rispetto agli uomini (34% vs 27%),
  • più frequentemente nelle donne l’angina pectoris non è complicata (80%), mentre negli uomini l’angina tende a evolvere verso l’infarto (66%),
  • la morte improvvisa è più frequente negli uomini rispetto alle donne (50% vs 39%).

Donne e patologie cardiovascolari: fattori di rischio specifici

Le differenze di genere rivestono grande importanza anche nell’ambito dei fattori di rischio per malattie cardiovascolari. Esistono fattori di rischio tradizionali (fattori di rischio di Framingham), che riguardano in misura simile entrambi i sessi, e fattori di rischio cardiovascolare specifici per il genere femminile, alcuni semplicemente “slatentizzati” dalla gravidanza, altri che sono conseguenza o appaiono in associazione a malattie predominanti nelle donne.

L’associazione tra fumo e malattie cardiovascolari sembra essere più forte nelle donne, in modo particolare quando è associato all’impiego di anticoncezionali estroprogestinici, alla familiarità per infarto precoce e all’anamnesi di emicrania.

Tra i fattori di rischio peculiari per il genere femminile, si riconoscono:

  • la radioterapia, infatti le radiazioni ionizzanti aumentano il rischio di infarto miocardico acuto,
  • la chemioterapia per neoplasia della mammella che è cardiotossica.

Le malattie di cuore, inoltre, sono la principale causa di morte nelle pazienti con cancro della mammella, al di sopra dei 50 anni.

Inoltre la depressione nelle donne è associata ad outcome peggiori dopo cardiopatia acuta.

Sono noti i fattori di rischio specifici di stroke per il sesso femminile, strettamente correlati agli effetti degli ormoni sessuali e all’assunzione degli estrogeni esogeni: gravidanza, anticoncezionali, menopausa, post-menopausa, ma le  donne presentano inoltre anche un rischio di sanguinamento particolarmente elevato e l’utilizzo dei nuovi farmaci anticoagulanti orali, che rispetto agli antagonisti della vitamina K sono associati a una ridotta incidenza di emorragie intracraniche, si è dimostrato particolarmente sicuro e di beneficio nel sesso femminile.

Comprendere le differenze di genere nell’anticoagulazione dei pazienti con fibrillazione atriale è importante per stabilire le misure preventive da adottare a lungo termine e guidare la scelta del trattamento anticoagulante più efficace e sicuro, con un impatto fondamentale su diagnosi precoce e accesso alle terapie, così da migliorare l’outcome clinico.

Differenze di genere nelle aritmie

Roberta Brambilla, U.O.S Elettrofisiologia, Dipartimento Cardiovascolare, ASST Lecco illustra le differenze di genere riscontrabili nell’espressione clinica delle patologie aritmiche.

È noto da molti anni che le differenze di genere nelle proprietà elettrofisiologiche cardiache cellulari rivestono un ruolo fondamentale nella espressione clinica della patologia aritmica. Questa diversità si esprime in una differenza in termini di epidemiologia, patofisiologia, presentazione clinica e outcome delle diverse tipologie di aritmia nei due sessi. Questo riveste un’importanza fondamentale in termini di rilevanza clinica e prevalenza in particolare nella fibrillazione atriale, nelle aritmie ventricolari e nella morte improvvisa aritmica. Conoscere e comprendere queste differenze ha un impatto fondamentale nella diagnosi precoce e nell’accesso alle terapie e può migliorare l’outcome clinico.

La maggior parte dei trial eseguiti sinora, in particolare per quanto concerne la terapia elettrica delle aritmie, comprende un numero contenuto di soggetti femminili, e le conoscenze attuali sulle reali differenze del substrato aritmico nella donna e nell’uomo sono ancora limitate. È auspicabile che una maggior comprensione dei meccanismi che sottendono al rischio aritmico porti in futuro ad una terapia più tailored o gender-specific.

Nel sesso femminile troviamo una prevalenza di tachicardia atriale e tachicardia da rientro nodale. Queste aritmie sono più sintomatiche nella donna. Inoltre, è descritta una correlazione tra le recidive aritmiche e il ciclo ovarico. Per quanto concerne la fibrillazione atriale, vi è fondamentalmente un diverso approccio diagnostico e terapeutico con maggiore morbilità e complicanze legate alla terapia interventistica nella donna.

Queste evidenze hanno favorito, nella pratica clinica, un approccio terapeutico più conservativo nella donna rispetto all’uomo.

Roberta Brambilla ricorda anche che la fibrillazione atriale (FA) e il flutter atriale (FLA) sono le aritmie più comuni nella pratica clinica con le maggiori implicazioni dal punto di vista della salute e della spesa pubblica.

L’incidenza di FA (1000 persone/anno) è tra l’1,6 e il 2,7 nella donna e tra il 3,8 e il 4,7 nell’uomo. Nel Framingham Heart Study il rischio di sviluppare FA nel corso della vita è pari al 26% nell’uomo vs 23% nella donna. L’incidenza e la prevalenza della FA sono in aumento in entrambi i sessi nelle ultime due decadi. L’atteggiamento terapeutico più conservativo e il minor accesso da parte delle pazienti di sesso femminile a strategie terapeutiche più “aggressive” si traduce in un aumento della mortalità totale FA-correlata in particolare nei Paesi in via di sviluppo. Un altro dato interessante è che le donne sono spesso più sintomatiche per FA, sperimentando più spesso rispetto all’uomo disturbi quali palpitazioni, sincope, dispnea, fatica e dolore toracico.  

Identikit della donna con fibrillazione atriale:

  • alta prevalenza di ipertensione arteriosa,
  • malattia valvolare,
  • scompenso cardiaco a funzione sistolica preservata.

Rispetto all’uomo:

  • minor prevalenza di malattia coronarica,
  • età più avanzata,
  • maggior rischio di ictus e tromboembolismo sistemico.

Differenze di genere nel TEV (tromboembolismo venoso)

Adriana Visonà, direttore UOC Angiologia dell’Azienda ULSS 2 Marca Trevigiana, spiega le caratteristiche specifiche del TEV nella donna. Il tromboembolismo venoso (TEV) nella donna presenta infatti alcune peculiarità.

La probabilità di recidiva di evento tromboembolico è minore nella donna, mentre si è osservato un aumentato rischio emorragico, legato forse a condizioni patologiche più frequenti nelle donne.

Tra i fattori di rischio del tromboembolismo venoso acquisiti, alcuni sono legati al genere femminile: gravidanza, puerperio, contraccezione, terapia ormonale sostitutiva. Queste condizioni aumentano il rischio tromboembolico anche in giovane età, quando il rischio di avere tromboembolismo venoso è molto basso.

Durante la gravidanza i fattori che aumentano il rischio sono: precedenti episodi di TEV, fumo, presenza di varici, obesità, utilizzo di tecniche di fecondazione assistita, condizioni di trombofilia grave. Tuttavia il rapporto rischio beneficio non porta a consigliare uno screening di trombofilia a tutte le gravide, senza storia o familiarità per TEV, dato che il rischio assoluto di TEV in gravidanza è comunque basso.

Il puerperio rappresenta una condizione di rischio per tromboembolismo venoso ancora maggiore rispetto alla gravidanza.

L’utilizzo di contraccezione con estroprogestinici è il fattore di rischio per tromboembolismo più frequente nella donna in età fertile, ma dobbiamo ricordare che comunque anche in questo caso il rischio assoluto è basso. La terapia ormonale sostitutiva dovrebbe essere valutata caso per caso, considerando indicazioni, potenziali rischi tromboembolici e preferenze della paziente, includendo anche fattori di rischio aggiuntivi quali età, obesità, storia di precedenti episodi tromboembolici o di condizioni di trombofilia congenita. Un’altra condizione che potrebbe esporre la donna ad un aumentato rischio tromboembolico è la terapia ormonale per il tumore mammario.

Infine vi sono trombosi venose localizzate in sedi non usuali che prediligono il genere femminile, quali le trombosi venose cerebrali che sono appannaggio di giovani, soprattutto donne nel 75% dei casi, con fattori di rischio genere-correlati (uso di contraccettivi, gravidanza).

Differenze di genere nella terapia anticoagulante

Giulia Magnani, dirigente Medico, U.O. Cardiologia, Azienda Ospedaliero Universitaria di Parma sottolinea che la fibrillazione atriale è il maggior fattore di rischio modificabile di ictus, oltre che di malattia cardiovascolare e di mortalità nel genere femminile. Il sesso femminile è un fattore di rischio indipendente per strokemalattia cardiovascolare e morte attribuibile a fibrillazione atriale Diversi studi hanno infatti dimostrato che le donne presentano rispetto agli uomini un rischio incrementato di stroke, anche durante il trattamento con antagonisti della vitamina K. Il sesso femminile è per questo integrato, come raccomandato dalle linee guida, nel principale score per la predizione del rischio tromboembolico nei pazienti con fibrillazione atriale.

La terapia anticoagulante è l’unica strategia valida per ridurre il rischio di stroke. Nonostante l’elevato beneficio derivante dalla terapia anticoagulante soprattutto nelle donne, c’è una tendenza a un minor trattamento delle donne rispetto agli uomini. Invece, per quanto riguarda i NOA, i dati derivanti dalla real-life sembrano indicare che non vi sono differenze di prescrizione nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare di nuova diagnosi in entrambi i sessi.

Le donne presentano inoltre anche un rischio di sanguinamento particolarmente elevato e l’utilizzo dei nuovi farmaci anticoagulanti orali, che rispetto agli antagonisti della vitamina K sono associati a una ridotta incidenza di emorragie intracraniche, si è dimostrato particolarmente sicuro e di beneficio nel sesso femminile.

Sono noti fattori di rischio specifici di ictus per il sesso femminile, strettamente correlati agli effetti degli ormoni sessuali e all’assunzione degli estrogeni esogeni: gravidanza, contraccettivi, menopausa, post menopausa. Studi osservazionali degli anni ‘90 suggerivano un potenziale beneficio della terapia ormonale nella prevenzione delle malattie cerebrovascolari e nei disturbi cognitivi. Trial clinici randomizzati hanno invece dimostrato un incremento del rischio di ictus ischemico.

Giulia Magnani conclude che comprendere le differenze di genere nell’anticoagulazione dei pazienti con fibrillazione atriale è quindi importante per stabilire le misure preventive da adottare a lungo termine e guidare la scelta del trattamento anticoagulante più efficace e sicuro. 

Terapia sostitutiva ormonale, menopausa ed eventi cardiovascolari

Daniela Pavan, direttore del dipartimento cardio-cerebro-vascolare dell’Azienda per l’assistenza sanitaria n.5 Friuli Occidentale espone le ipotesi avanzate sul legame tra ormoni femminili ed eventi cardiovascolari.

L’incremento di rischio e le modalità di scatenamento degli eventi coronarici variano nelle donne nelle diverse fasi della vita.

La minore incidenza di infarto nella donna durante la vita fertile è stata imputata all’effetto protettivo degli estrogeni. I meccanismi ipotizzati sono molteplici, a livello macrovascolare, microvascolare ed emocoagulativo. Studi epidemiologici hanno mostrato un’associazione significativa tra età menopausale e mortalità cardiovascolare. Il più suggestivo di questi studi ha osservato una riduzione del 2% della mortalità cardiovascolare per ogni anno di «ritardo» della menopausa.

Una metanalisi ha evidenziato un eccesso del rischio di eventi cardiovascolari di circa il 50% nelle donne con menopausa in età inferiore ai 45 anni, con il 23% di eccesso di stroke, 9% di eccesso di rischio di mortalità cardiovascolare e 11% di eccesso di rischio di mortalità coronarica.

Secondo altri studi, l’eccesso di rischio è evidente solo in donne con età di menopausa molto precoce. Una possibilità logica è che l’assetto ormonale fertile abbia un effetto protettivo nei confronti dei fattori di rischio cardiovascolari, quale ad esempio il diabete. Tuttavia, un’ipotesi alternativa supportata dai dati del Framingham Heart Study è che siano le donne con una peggiore costellazione di fattori di rischio cardiovascolare ad andare in menopausa precocemente. In questo caso, la menopausa precoce sarebbe un marker, e non la causa, di un maggiore rischio cardiovascolare in post-menopausa. E la terapia ormonale sostitutiva (HRT) potrebbe funzionare se iniziata precocemente.

Uno studio ad hoc (ELITE) ha testato l’ipotesi che l’HRT iniziata “precocemente” possa essere più efficace dell’HRT iniziata “tardivamente” nel prevenire la progressione dell’aterosclerosi a livello carotideo e a livello coronarico. Lo studio ha mostrato un effetto significativo dell’ HRT nel rallentare la progressione dell’aterosclerosi carotidea nelle donne trattate più precocemente ma nessun effetto a livello coronarico. Un altro studio recente condotto in Finlandia ha valutato il rischio di eventi cardiovascolari nell’anno successivo alla sospensione di HRT, osservando un aumento significativo del rischio di morte cardiaca e ictus. Anche questo dato depone a favore dell’ipotesi che l’eventuale effetto protettivo degli estrogeni (e dell’HRT in menopausa) possa essere connesso a fattori non legati alla progressione dell’aterosclerosi, ma piuttosto a meccanismi vasomotori e antiaritmici.

In conclusione, dopo quasi mezzo secolo di studi, non è ancora chiaro quanto la terapia ormonale sostitutiva (HRT) abbia un ruolo protettivo sulla malattia cardiovascolare, soprattutto le evidenze sono discordanti in merito a questa azione protettiva in funzione del timing di inizio della terapia sostitutiva stessa.