Le patologie reumatiche e le terapie usate per contrastarle possono influenzare negativamente il metabolismo glicemico. Esistono molteplici correlazioni tra queste patologie e il diabete.

Patologie reumatiche e diabete sono correlati per diversi aspetti
Patologie reumatiche e diabete sono correlati per diversi aspetti

L’infiammazione che accomuna le malattie reumatiche, infatti, è una delle cause principali che inducono insulino-resistenza e alterazione della funzione beta cellulare pancreatica. Inoltre, in caso di diabete già diagnosticato e trattato, l’infiammazione può ridurre l’efficacia di alcuni farmaci usati per il diabete.

D’altra parte, anche alcuni farmaci usati per le malattie reumatiche, come i corticosteroidi, possono peggiorare il controllo glicemico.

Un altro aspetto che lega malattie reumatiche e diabete è la limitazione dell’attività fisica cui costringe l’invalidità e che invece sarebbe fondamentale per migliorare il metabolismo degli zuccheri.

Fabio Broglio, responsabile del Centro Unificato di Diabetologia e Metabolismo della Città della Salute di Torino e professore associato in Endocrinologia all’Università degli Studi di Torino, spiega il nesso che unisce le malattie reumatiche e il diabete:

«È un nesso biunivoco, perché l’infiammazione che accomuna le malattie reumatiche è uno dei motori principali che induce insulino-resistenza ed alterazione della funzione beta cellulare pancreatica che produce insulina. Pertanto, in persone con già altri fattori di rischio, possono essere causa di elevazione dei livelli glicemici fino al diabete conclamato. La patologia reumatica di per sé, o alcune sue terapie, possono influenzare negativamente il metabolismo glicemico, con tutti i rischi che possono derivare sul sistema cardiovascolare, è importante sin da subito uno screening per escludere la presenza di forme di pre-diabete o addirittura di diabete misconosciuto che potrebbero peggiorare ulteriormente in conseguenza della problematica reumatologica. In caso di diabete noto è comunque necessaria una rivalutazione diabetologica per eventuali modifiche del piano di cura, in quanto lo stato infiammatorio potrebbe essere motivo di resistenza all’azione di alcuni farmaci antidiabetici. Non va infine dimenticato che le patologie reumatiche, soprattutto se molto invalidanti, limitano l’attività fisica che è uno dei principali cardini di efficacia della terapia per tenere sotto controllo il diabete».

«Alcune cure farmacologiche per le malattie reumatiche, soprattutto quelle inclusive di terapia corticosteroidea possono essere un ulteriore motivo di scompenso del controllo glicemico con necessità di rimodulazione della terapia diabetologica» – aggiunge Fabio Broglio.

A fronte di questa correlazione tra patologie reumatiche con il diabete, è importante valutare attentamente i rischi.

«Il medico di base o lo specialista reumatologo possono invitare il malato a fare le opportune verifiche per accertare il rischio di sviluppare il diabete o la sindrome metabolica. Fare questa valutazione può essere utile anche in previsione dei possibili aggravamenti futuri legati alle eventuali terapie o alle limitazioni funzionali. Sebbene le comprensibili preoccupazioni che il malato reumatico si trova ad affrontare, è bene prestare attenzione anche alle copatologie indagandole per tempo, e non procrastinando. Si stima infatti che ogni 2-3 persone con un diabete noto, ve ne sia almeno una altrettanto affetta seppur ignara di esserlo per mancanza di sintomi, ma non per questo meno a rischio di svilupparne le complicanze cardiovascolari» – suggerisce Fabio Broglio.

Il convegno “70 anni di Reumatologia alle Molinette”

Gli esperti di diverse branche mediche si sono riuniti a Torino l’11 e 12 ottobre 2019 in occasione del Convegno dedicato ai 70 anni della Reumatologia dell’ospedale Molinette, dove è nato il primo reparto autonomo di Reumatologia d’Italia. Qui hanno analizzato varie sfaccettature delle malattie reumatiche, comprese quelle correlate alla sindrome metabolica.

«Diagnosi precoce, interdisciplinarietà e collaborazione con il medico di medicina generale.
Sono questi i tre punti su cui dobbiamo continuare a lavorare per dare ai malati reumatici una qualità di vita migliore. Il tema della disabilità, che purtroppo affligge i pazienti, è uno di quelli a cui dobbiamo dare risposte in fretta. Per questo è necessario creare ancora più sinergia tra i diversi specialisti che si occupano dei malati reumatici» – sostiene Enrico Fusaro, direttore della Reumatologia dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino.

Non c’è ancora un registro nazionale che raccolga i dati delle persone che soffrono di una delle 150 patologie reumatiche ad oggi conosciute. Ci sono stime sul numero di persone affette dalle malattie reumatiche in Italia che vanno dai 5 a più di 13 milioni. Tra questi, il Piemonte ne conta 365.000, dei quali più di 190.000 sono nella sola città di Torino.

Ma i numeri, complice anche l’invecchiamento della popolazione, sono destinati ad aumentare. E, di conseguenza, aumenteranno anche i casi di disabilità legati a queste patologie. Le malattie reumatiche, infatti, se non trattate con tempestività hanno come filo conduttore un peggioramento della qualità di vita declinato sotto tutti gli aspetti: anche l’attività lavorativa e la vita affettiva e sociale rischiano di essere compromesse.

L’importanza della diagnosi precoce per limitare la disabilità causata dalle patologie reumatiche

«La diagnosi precoce è ancora l’arma vincente per contrastare l’evoluzione di queste malattie che, nella maggior parte dei casi, sono sistemiche, cioè interessano tutti gli organi. Al fine di raggiungere in modo sempre più efficace e tempestivo questo traguardo, è importante una sempre più stretta collaborazione con il medico di medicina generale. A titolo di esempio, uno dei ritardi diagnostici più lunghi è quello relativo alla spondilite anchilosante, che insieme all’artrite reumatoide colpisce lo 0,5% della popolazione italiana. La spondiloartrite anchilosante, tra i sintomi, presenta il mal di schiena e la persona che ne è colpita prima di essere visitata dal reumatologo può attendere anche 8 anni» – premette Enrico Fusaro, direttore della Reumatologia dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino. – «Il modo principale per affrontare il prima possibile questo aspetto e per contrastarlo è dato dalla diagnosi precoce e dalla terapia farmacologica, quando possibile. Motivare il paziente a seguire la cura, poi, è un altro dei compiti che spetta al reumatologo insieme a tutti gli altri esperti che incontrano». 

I 70 anni della Reumatologia delle Molinette

In occasione dei lavori congressuali sono stati celebrati i 70 anni della Reumatologia delle Molinette.

Enrico Fusaro ricorda:

«Sono un numero di anni congruo per celebrare un traguardo importante di questa branca medica: la Reumatologia delle Molinette è stato il primo reparto autonomo d’Italia. Arriviamo, poi, da una lunga tradizione di esperti. Prima della Seconda Guerra mondiale la Reumatologia ruotava attorno al termalismo, era nata ad Acqui Terme negli anni ’30 con il professor Ravenna che pubblicò molto poco, perché in quanto di origini ebraiche fu sospeso dall’attività in Italia e continuò la sua opera negli Stati Uniti. Ma fu lui a porre le basi di quella che è l’attività assistenziale e scientifica della struttura».

«Dopo la Guerra, nel 1949, fu creato il reparto di Reumatologia. Il primo direttore fu il professor Alessandro Robecchi e tra i suoi primi collaboratori vi furono i professor Vittorio Daneo e Di Vittorio, che sarebbero diventati i successivi direttori. I primi anni furono caratterizzati da un triplice obiettivo: l’avvio dell’attività assistenziale, un’attività di tipo sociale finalizzata alla diagnosi precoce, incominciando dalla medicina scolastica, e un’intensa attività scientifica. Relativamente a questo ultimo aspetto il gruppo di Torino partecipò attivamente al dibattito scientifico relativo alla classificazione delle malattie reumatiche, sostenendo l’ipotesi della separazione tra artrite reumatoide e le spondiloartriti, da ritenersi come entità separate, cosa che è ormai è assodata. Furono molto interessati inoltre all’introduzione di nuovi, per l’epoca, test diagnostici di laboratorio, e studiarono approfonditamente l’utilizzo in terapia dei farmaci cortisonici, che si affacciavano allora come prospettiva terapeutica. Il successivo direttore fu il dottor Vittorio Modena e dal 2008, il sottoscritto. Chi mi ha preceduto ha creato una scuola di cui ancora sentiamo l’influenza. È bene, dunque, celebrare tutti questi anni che hanno segnato una grande svolta della Reumatologia italiana» – conclude Enrico Fusaro.