L’Istituto europeo di oncologia (IEO) di Milano ha ospitato lo scorso 1 febbraio il Convegno AFI dal titolo “Le nuove sfide della ricerca clinica” per chiarire per quanto possibile la versione 3 delle Good Clinical Practice (GCP-ICH E6 – R3), discutere il regolamento europeo e ipotizzare un futuro di studi decentralizzati ed eseguiti in parte presso il domicilio del paziente.
I componenti del comitato organizzatore – Lorenzo Cottini, Guido Fedele, Sergio Scaccabarozzi, Ilaria Maruti e Francesca Vaccari dell’AFI – Associazione Farmaceutici Industria – si sono succeduti alla moderazione e alternati al microfono con relatori di eccellenza appartenenti a Ministero della Salute, AIFA, aziende farmaceutiche (Bayer, AstraZeneca) e IRCCS (IEO, San Matteo e San Raffaele Pisana).

La trasformazioni in corso

Superata l’emergenza pandemica, la ricerca clinica sta vivendo un momento di grande cambiamento dovuto all’entrata in vigore dei Regolamenti Europei per la sperimentazione clinica farmacologica, dispositivi medici (DM), Diagnostici in vitro (IVD), oltre alle implicazioni legate agli adempimenti richiesti dal Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) che interessa tutti questi ambiti. Ogni settore, infatti, ha un suo processo regolatorio dedicato, ma quando lo studio clinico prevede l’utilizzo di più elementi – farmaco, DM, IVD – può diventare davvero problematico completare l’iter autorizzativo in modo chiaro ed efficiente. Sarebbe molto utile realizzare un “testo unico per le sperimentazioni” che indichi in modo indubbio come comportarsi in presenza dei diversi abbinamenti possibili (es. DV+IVM, farmaco+DM ecc.). In questo momento di cambiamento, le stesse Good Clinical Practices (GCP), che sono alla base di ogni attività legata alla gestione degli studi clinici, indipendentemente dal prodotto utilizzato, sono in fase di revisione.

Le GCP rappresentano lo standard internazionale di etica e qualità scientifica per progettare, condurre, registrare e condividere i dati degli studi clinici sull’uomo. Dalla prima versione (R1) risalente al 1996, sono state apportate graduali modifiche mantenendo fisso l’obiettivo di garantire la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti che partecipano allo studio clinico, nonché l’attendibilità e la rilevanza dei dati che ne deriveranno. In particolare, la veloce evoluzione scientifica, tecnologica e normativa, richiedono che le responsabilità in capo ai diversi attori coinvolti siano sempre più chiare, e che i requisiti richiesti e le indicazioni operative siano rispondenti alle necessità segnalate da chi lavora in questo delicato ambito. Tra le esigenze più sentite c’è anche quella di decentrare gli studi clinici in modo da ridurre l’impegno del paziente nella partecipazione, non costringendolo più a recarsi spesso al centro di riferimento, pur garantendo una raccolta di dati quanto più possibile aderente alla pratica clinica.

Rendere la ricerca italiana sempre più competitiva

La giornata ha offerto un utile momento di confronto e di aggiornamento su temi molto caldi e ha portato alla luce le notevoli differenze che ancora si riscontrano in termini di richieste per la valutazione da parte di chi ne ha titolo: Comitati Etici, amministrazioni degli ospedali, AIFA, Ministero, Garante e Data Protection Officer (DPO). Non si è potuto approfondire appieno il contenuto di alcuni nuovi Decreti ministeriali, come quello sulla riorganizzazione dei Comitati etici, perché troppo freschi di pubblicazione. Questi richiederanno ulteriori momenti di confronto in considerazione dell’impatto che avranno sulla gestione degli studi. Il labirinto di procedure e norme e il pesante carico di burocrazia impedisce all’Italia di essere considerata al pari di altri paesi in termini di attrattività per la ricerca clinica. Inoltre, nel panorama europeo, le tariffe per l’autorità regolatoria e i comitati etici italiani sono alte rispetto ad altre nazioni e i tempi richiesti da alcuni passaggi, come la firma del contratto con l’istituzione, sono spesso lunghi e poco prevedibili, ritardando l’attivazione degli studi stessi e rendendo il nostro paese poco competitivo. Per attrarre ricerca in Italia serve dare chiarezza a chi deve investire. Tra gli interventi utili ipotizzabili sono stati citati gli sgravi fiscali degli investimenti, l’eliminazione della tariffa di prima valutazione e maggiore chiarezza nelle normative. Una maggiore attrattività rappresenterebbe un vantaggio, oltre che culturale e scientifico, anche economico per il sistema sanitario, e un’opportunità per i pazienti che potrebbero beneficiare di nuove terapie o interventi medici prima della disponibilità commerciale.