Lo sviluppo dei vaccini Covid-19 ha rappresentato un enorme sforzo anche dal punto di vista della disponibilità dei fondi messi a disposizione da diverse fonti per sviluppare le attività di ricerca e sviluppo e di aumento della capacità produttiva. Uno studio preparato per il Dipartimento tematico Politica economica e scientifica e qualità di vita del Parlamento europeo si è focalizzato, in particolare, su nove diversi vaccini (di cui sette autorizzati nell’Unione europea) ed ha mappato gli investimenti pubblici e privati di lungo termine messi in atto a tal fine nel periodo pandemico. Lo studio, più in particolare, è finalizzato a supportare i lavori del Comitato Speciale del Parlamento sulle lezioni e le raccomandazioni tratte dalla pandemia, compresa la valutazione circa la necessità di continuare a finanziare questo tipo di attività.

Il forte coinvolgimento del settore pubblico, indica il documento, è risultato essere un fattore chiave non sono a livello degli ingenti stanziamenti di fondi, ma anche per quanto riguarda le attività pregresse di ricerca di base e sviluppo precoce, che spesso poggiano anch’esse su finanziamenti pubblici.

I dati principali dello studio

Secondo il rapporto, i finanziamenti complessivi tra il 2020 e inizio 2022 a supporto delle attività oggetto dell’analisi sono stimabili in circa 9 miliardi di euro. Le fonti che li hanno erogati spaziano dai governi a enti filantropici, terze parti private, partnership pubblico-privato e banche per lo sviluppo multilaterale quali la Banca europea degli investimenti. Le fonti di finanziamento pubbliche hanno rappresentato l’80% dell’intero campione analizzato. Le aziende impegnate nello viluppo dei vaccini Covid-19 hanno potuto beneficiare anche di circa 21 miliardi di euro erogati sotto forma di Advance Purchase Agreements (APA). Il tutto a fronte di una stima sulle spese di R&D affrontate che lo studio indica in circa 4-5 miliardi di euro nel periodo 2020-21.

I dati raccolti indicano diversi livelli di finanziamento pubblico per le diverse società coinvolte negli sviluppi dei vaccini. La media calcolata per il contribuito pubblico alle attività di R&D è di almeno il 50%. Pfizer, ad esempio, non ha ricevuto direttamente fondi (di cui ha però goduto in modo sostanziale il suo partner di sviluppo bioNTech), mentre le attività di Moderna sono state finanziate al 100%.

Questo tipo di approccio, indica ancora lo studio, riduce notevolmente il rischio degli investimenti corporate e aumenta il ritorno per gli investitori. Anche gli accordi APA, firmati dai governi prima dell’approvazione dei vaccini, hanno contribuito a ridurre il rischio per le aziende sviluppatrici, che hanno potuto pianificare meglio le rispettive capacità produttive e logistiche. Lo studio segnala, tuttavia, come “non ci sia evidenza che hanno (gli accordi APA, ndr) incentivato la R&D, che per la maggior parte delle aziende si è basata su precedenti sovvenzioni del settore pubblico”.

Il governo degli Stati Uniti è stato il principale ente finanziatore, ed ha fornito il 24,7% del totale dei fondi esterni mappati per il supporto all’R&D. Molto minore il ruolo svolto in tal senso dall’Unione europea (inclusi gli Stati membri, 1% in totale). Andando a considerare anche gli investimenti a supporto della produzione dei vaccini, tali percentuali diventano, rispettivamente, dell’80% per gli Stati Uniti e del 10% per l’UE. Quest’ultima ha puntato tutto sui contratti di acquisto, con otto APA firmati sino al 2021, per un totale di 1,3 miliardi di dosi. Lo studio indica un valore stimato per tali contratti di 6,8 miliardi di euro. 

Gli scenari per il futuro

Lo studio preparato per il Parlamento indica anche la necessità di proseguire con gli investimenti sui vaccini Covid-19, una malattia che sembra destinata a permanere a lungo e il cui agente patogeno potrebbe dar luogo a nuove varianti non toccate dai prodotti finora sviluppati. Il documento sottolinea anche come molte delle aree di ricerca che potrebbero essere prese in considerazione in tal senso non siano d’interesse industriale immediato, a causa dei bassi ritorni attesi e degli elevati rischio di sviluppo. 

Si ripropone, quindi, il problema di come supportare questo tipo di attività sul piano degli investimenti. A questo riguardo, lo studio indica i punti emersi dall’esperienza pandemica che andrebbero tenuti in considerazione per il futuro. Tra questi, l’evitare frammentazione e duplicazione dei fondi per le attività di R&D sui vaccini, l’assicurare supporto pubblico allo sviluppo clinico di vaccini di nuova generazione contro il Covid o altri coronavirus, la creazione di un ambiente regolatorio e infrastrutturale favorevole ai trial clinici in Europa, e un’attenta disamina, nell’interesse della sanità pubblica, delle condizioni delle future sovvenzioni alla ricerca e sviluppo e dei meccanismi di de-risking. 

Le azioni prioritarie suggerite dallo studio prevedono, sul breve periodo, la disponibilità di un quadro legale stabile e chiaro anche nell’EU a supporto delle attività di R&D delle multinazionali per lo sviluppo di vaccini Covid-19. Dovrebbero essere considerati, in particolare, modelli innovativi di accordi sui diritti di proprietà intellettuale (IPR) ove la ricerca sia supportata dalle tasse e finalizzata l’interesse pubblico. Il documento suggerisce anche di considerare condizioni precise per quanto riguarda la localizzazione delle attività produttive e logistiche, e modalità di fornitura più eque e prezzi più accessibili sia per i cittadini europei che per i paesi meno sviluppati. Andrebbe riconsiderato anche il ruolo dell’Autorità europea per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie (HERA). Sul lungo periodo, l’approccio suggerito vede la creazione di un’infrastruttura pan-europea di R&D e di un‘organizzazione per la fornitura di farmaci in alcune aree critiche, con ambizioni scientifiche e scala di finanziamenti simile a quella degli NIH americani.