Un report di BIA delinea lo stato del comparto biotech britannico appena prima del voto che ha sancito l'uscita del paese dall'Unione Europea (credits: PeteLinforth/pixabay)

Pubblicato a pochi giorni dal voto che avrebbe ridisegnato il futuro del Regno Unito, il report “UK biotech financing and deals in 2015/16: Money, momentum and maturity”, realizzato da UK BioIndustry Association (BIA) in collaborazione con la London Stock Exchange ed Evaluate, ha scattato una fotografia della vitalità dell’industria britannica delle biotecnologie, uno dei settori dell’economia che maggiormente potrebbe risentire degli esiti dell’uscita del paese dall’Unione Europea.

Il momento è venuto a mancare?

La crescita del comparto biotech britannico ha vissuto un anno da record nel 2015, riporta il documento, con un forte rialzo degli investimenti alla Borsa di Londra che ha fatto da contraltare dalla decrescita nel numero di operazioni societarie rispetto agli anni precedenti. I numeri citati dallo studio sono impressionanti e sorge spontaneo chiedersi come evolveranno negli anni futuri a seguito del repentino cambio nello scenario di riferimento per il Regno Unito. “Con altri eventi politici globali attesi per il 2016, come l’elezione del presidente degli Stati Uniti, la sfera di cristallo rimane più nebbiosa del solito rispetto alla predizione dell’ambiente macro-economico e politico, sia a livello nazionale che internazionale”, scriveva nell’introduzione allo studio il direttore di UK BioIndustry Association, Steve Bates, quando ancora non si conosceva l’esito delle urne che avrebbe sancito la Brexit.

Un report di BIA delinea lo stato del comparto biotech britannico appena prima del voto che ha sancito l'uscita del paese dall'Unione Europea (credits: PeteLinforth/pixabay)
Un report di BIA delinea lo stato del comparto biotech britannico appena prima del voto che ha sancito l’uscita del paese dall’Unione Europea (credits: PeteLinforth/pixabay)

Se e quando l’uscita della Gran Bretagna dall’UE giungerà a effettivo compimento (comunque non prima di due anni dall’attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, operazione che al momento pare ancora lontana), il paese potrebbe soffrire il passaggio dal ruolo di potenza leader – sia per quanto riguarda gli aspetti scientifici e di sviluppo di un’industria innovativa che quelli finanziari – a un ruolo nel migliore dei casi di paese associato all’UE (sul modello di Norvegia e Islanda), che potrebbe accedere solo da comprimario ai fondi europei per la ricerca che tanto hanno contato finora nel successo del biotech “made in UK”. Sarà interessante valutare quali saranno le scelte future del governo inglese per attrarre gli investimenti stranieri: molti osservatori già segnalano la possibilità che il paese adotti un quadro fiscale particolarmente favorevole per le imprese, sul modello di quello dell’Irlanda.

I numeri del settore

Ma quali erano i numeri del settore pochi giorni prima della Brexit, così come riportati dal documento di BIA? L’indice AIM (Alternative investment market) dedicato alle piccole e medie imprese quotate sulla piazza londinese, riporta lo studio, ha quadruplicato il suo valore nel 2015 rispetto all’anno precedente e ha rappresentato oltre il 60% (£ 574 mln) di tutti i flussi finanziari per aziende biotech trattate alla Borsa di Londra (rispetto al 23% del 2014).

Le società britanniche hanno raccolto il 27% (£ 178 mln) delle somme totali per gli IPO di società biotech in Europa nel 2015. Sul fronte M&A hanno giocato un ruolo di primo piano anche aziende di nascita recente, come Circassia e Clinigen, e non solo le big pharma tradizionali. Gli investimenti nel Regno Unito da parte dei venture capital sono saliti nel 2015 a 489 milioni di sterline dai 166 mln del 2014, con un aumento di oltre il 190%. Quasi la metà (205 mln £) sono stati ottenuti dalla sola Immunocore.

Le pipeline britanniche contano 585 progetti, tra i quali il numero più elevato di progetti in fase 3 tra i paesi europei. Anche il numero di approvazioni regolatorie, riporta lo studio, è molto elevato rispetto alla media UE.

Resta da vedere se, stante il nuovo contesto politico e macro-economico, si realizzerà la previsione che Steve Bates ha redatto nell’introduzione che accompagna il documento: “Il trend di mercato va verso round di finanziamento più grandi di un numero minore di business, ma forse meglio posizionati, con gli investitori che si spostano dall’approccio storico del ‘drip-feed’ – scriveva Bates non più di un mese fa. – Ciò consentirà ai team gestionali britannici di qualità di focalizzare sulla generazione di valore con un livello più alto di maturità”. Il direttore di UK BioIndustry Association dovrà probabilmente rivedere anche il suo obiettivo di portare la Gran Bretagna a diventare il terzo cluster biotech globale “costruendo sul suo consolidato ruolo guida in Europa”.

I trend per il 2016

Tra i fattori distintivi del modello UK rispetto a quello degli Stati Uniti, e che potrebbero trainarlo nel corso del 2016, il report di BIA identificava la centralità della piazza londinese per quanto riguarda il mercato della proprietà intellettuale e l’affacciarsi del crowfunding come mezzo di finanziamento anche per le aziende quotate.

Resta da vedere come il Regno Unito si situerà in futuro a livello della gestione brevettuale, uno dei temi principali conseguenti alla Brexit per quanto riguarda l’impatto industriale. La Svizzera, ad esempio, ha concluso vari accordi bilaterali in materia di commercio e cooperazione economica e accordi di libero scambio con Stati terzi che contemplano anche la proprietà intellettuale.

Per il 2016 il report di BIA prevedeva, sulla scorta dei primi sei mesi dell’anno, un ulteriore avanzamento nelle attività di fundraising, seppur a fronte di fattori contrari quali la mancanza di seed capital osservata per l’anno precedente. “Tuttavia è chiaro che, nonostante i segnali di un momento continuo e di maturità nel finanziamento del settore, dai dati del 2015 e dalla nostra esperienza finora nel 2016 non c’è spazio per il compiacimento”, sottolineava Bates nella sua introduzione. Il direttore di BIA non mancava di evidenziare anche l’importanza per le imprese early-stage di poter accedere ai finanziamenti per l’innovazione, un elemento che potrebbe venire fortemente ridimensionato in base al futuro quadro che regolerà l’accesso del paese ai fondi europei per la ricerca.

UK BioIndustry ha fortemente sostenuto il Remain ed è ora impegnata a supportare il governo britannico nella messa a punto delle prossime mosse che delineeranno meglio il quadro futuro dell’intero comparto delle Life Sciences. “La tempistica prolungata non è tuttavia causa di compiacimento“, ha scritto Bates sul blog dell’associazione. Il direttore di BIA ha già incontrato i partner europei nel corso del recente board di Europabio e si sta coordinando con il ministro per le Scienze della Vita, George Freeman, e con le altre associazioni di settore per la messa a punto di una Task Force che identifichi meglio tutti i punti critici conseguenti al voto e necessari di attenzione futura.