Tornando alla formazione, le università toscane fanno anche formazione su tematiche brevettuali-economiche che poi servono come supporto a eventuali attività gestionali della ricerca? «Devo dire che in Toscana c’è una grande attenzione a queste tematiche; abbiamo, ad esempio, degli Industrial liason office molto ben funzionanti, che si sono messi in rete. Questo è stato fondamentale per far emergere le attività del Distretto toscano delle Scienze della Vita, di cui TLS è coordinatore. Ad esempio, l’iniziativa PhD Plus organizzata dal professor Ferragina, Prorettore al trasferimento tecnologico dell’Università di Pisa, affianca ai corsi tradizionali di dottorato di ricerca dei corsi su innovazione, trasferimento tecnologico, processi imprenditoriali, realizzati coinvolgendo direttamente imprenditori ed esperti del settore».

Le difficoltà risiedono spesso nel trovare i finanziamenti per far partire sia nuove iniziative, sia per portare avanti progetti già avviati. Che tipo di canali usate a questo scopo? «In Toscana era nato qualche anno fa ed è ancora attivo il fondo Toscana Innovazione, dove metà dei soldi – 44 milioni di euro in totale – li ha messi la Regione, metà le fondazioni bancarie regionali. Questo Fondo ha erogato finanziamenti per la creazione e lo sviluppo di idee innovative nei vari settori, tra cui le Life Sciences. Il problema, tipicamente italiano, è che esiste un sistema di finanziamento prevalentemente bancario poco incline al capitale di rischio. Faccio, però, un ragionamento a monte. Nel nostro settore c’è sicuramente bisogno di fondi per la creazione d’impresa, ma ancor di più di fondi di pre-seed financing, perché molto spesso il problema è quello di avere in mano risultati che non sono sufficientemente maturi per interessare chi poi investe nel capitale di rischio o per essere trasferiti».

Questo significa che affinché un progetto risulti “interessante” deve arrivare prima almeno in fase 1? «Basterebbero evidenze precliniche o, ancor meglio, una vera e propria proof of concept. In molti casi, basterebbe veramente poco di più, magari un anno e mezzo di tempo e 100mila euro di investimenti per sviluppare questi risultati adeguatamente e renderli appetibili. Noi ci siamo focalizzati su questo fronte, perché ci sono molti progetti interessanti ma non ancora maturi per poter essere finanziati da strumenti come il fondo Toscana Innovazione. Bisognerebbe riuscire a costruire una catena del valore più integrata: m’immagino un sistema universitario in cui, dopo un’attenta ed efficiente selezione, vengano adeguatamente protetti i risultati dell’attività di ricerca e valorizzati attraverso strumenti di trasferimento tecnologico (licensing, creazione di spin-off ), ma ancor prima, con iniziative volte sviluppare in maniera ottimale l’attività di ricerca che sta alla base. Per far questo, la Regione Toscana ha investito molto in azioni dirette di finanziamento della ricerca, di valorizzazione del capitale umano (borse e assegni di ricerca) e di valorizzazione della ricerca (UVaR). Accompagnare fin dall’inizio le attività di ricerca aumenta notevolmente la probabilità di ottenere adeguato sviluppo e ritorni degli investimenti fatti».