La percezione dei medici oncologi italiani su disclosure e conflitti d’interesse vissuti dalla categoria nelle sue interazioni con l’industria farmaceutica è stata al centro di un’indagine condotta nel 2017 dal Collegio italiano dei primari oncologi medici ospedalieri (Cipomo) su 362 oncologi e pubblicata su British Medical Journal Open. Indagine che ha portato alla pubblicazione di un position paper per meglio guidare l’operato di una categoria che quotidianamente utilizza molti dei farmaci più costosi attualmente sul mercato.
In Gran Bretagna, la locale associazione dell’industria farmaceutica (Abpi) ha pubblicato l’aggiornamento per il 2017 di Disclosure UK, la banca dati pubblica relativa alle partnership tra medici, organizzazioni sanitarie e industria. Il livello di trasparenza nella trasmissione dei dati relativi ai pagamenti e agli altri benefit ricevuti dai sanitari è diminuita nell’ultimo anno, secondo Abpi anche a causa del possibile impatto del regolamento Gdpr su questo tipo di attività.

Cipomo: l’indagine sui conflitti d’interesse in oncologia

Una formazione oncologica fortemente supportata dall’industria farmaceutica, contributi diretti agli oncologi e conflitti d’interesse nei medici deputati a curare i pazienti con cancro: sono le indicazioni emerse dall’indagine condotta da Cipomo tra gli oncologi italiani.
Secondo l’articolo pubblicato su BMJ Open, il 62% degli intervistati (in forma anonima) ha dichiarato pagamenti diretti da parte dell’industria farmaceutica negli ultimi tre anni. Ancora maggiori sono le percentuali di chi pensa che gli oncologi abbiano un conflitto d’interesse (68%) e di chi ritiene che la propria educazione oncologica sia stata in gran parte supportata dall’industria.
Secondo il gruppo che ha condotto l’indagine, il campione preso in esame (13% degli oncologi di ruolo nelle 319 unità di oncologia degli ospedali italiani) è sufficientemente rappresentativo degli oltre 2.200 medici attivi nel settore in Italia, mentre un limite dello studio è individuabile nella scelta non random dei partecipanti, con prevalenza dei primari ospedalieri.
L’indagine ha compreso diciannove domande su diversi aspetti della relazione tra medico e industria farmaceutica, tra cui l’influenza dei conflitti d’interesse sui prezzi dei farmaci, dove solo il 21% circa dei partecipanti si è detto d’accordo che essi comprendano circa un 10% dell’importo a copertura delle spese di R&D e un 30% per le spese di marketing affrontate dall’industria. Poco più della metà del campione (54,2%) si è detto contrario a organizzare incontri interni alle strutture sanitarie e coinvolgenti opinion leader scelti dalle aziende, mentre per il 40% circa l’avere conflitti d’interesse con più imprese tra loro in competizione è una garanzia d’imparzialità.
Il 60% circa dei medici è d’accordo sul fatto di ricevere una parte delle fees per-paziente  riscosse dalla struttura sanitarie per gli studi clinici, fees che per la maggioranza dei partecipanti (78% circa) dovrebbero essere oggetto di disclosure nel consenso informato. Non sono mancati approfondimenti sulla percezione dei conflitti d’interesse a livello di società scientifiche (per oltre il 90% dei rispondenti dovrebbero pubblicare apertamente online i dati sui finanziamenti ricevuti dalle aziende). Per poco più del 40% dei partecipanti all’indagine i finanziamenti ricevuti dalle società scientifiche limita la scelta degli argomenti e come sono trattati negli eventi scientifici da esse organizzati. Rispetto alle prescrizioni di farmaci, per il 38% circa del campione sono influenzate dal fatto di essere invitato a partecipare come speaker ad eventi sponsorizzati da parte dell’industria.

I punti principali del position paper

A seguito dei risultati dell’indagine, Cipomo ha anche pubblicato un position paper per meglio indirizzare le interazioni tra gli oncologi e le aziende produttrici dei farmaci usati per curare i pazienti con tumore.
Per quanto riguarda gli studi clinici, il documento sottolinea che i quesiti clinici, gli obiettivi e il braccio di controllo dovrebbero essere sempre scelti in modo indipendente dai ricercatori, anche quando tali studi sono promossi dall’industria. Lo stesso dicasi dell’analisi dei dati, la loro interpretazione e la stesura della pubblicazione (che dovrebbe esplicitare il contributo dell’azienda al disegno e alla conduzione della sperimentazione). Quest’ultima non dovrebbe vedere all’opera ghostwriters dell’azienda sponsor. I dati degli studi dovrebbero essere sempre resi disponibili alla comunità scientifica, anche se negativi.
Le informazioni utili a migliorare la qualità e la sicurezza delle cure, e il miglioramento delle competenze dei medici, dovrebbero essere al centro della promozione scientifica messa in atto dalle aziende, che dovrebbero invece evitare di indurre alla prescrizione, anche in forma occulta. Anche le attività di formazione dovrebbero essere volte a migliorare la qualità delle scelte cliniche, e non essere viste come strumento di marketing. Le scelte formative dovrebbero comunque restare unico appannaggio della classe medica; Cipomo auspica che siano gli enti sanitari e le società scientifiche a stabilire e pianificare gli interventi formativi, evitando eventi indirizzati ad attività promozionale. I contributi economici per la formazione dovrebbero essere indirizzati all’ente che la organizza, e non al singolo operatore sanitario, e anche per quanto riguarda la giusta retribuzione dei docenti per l’attività di studio e preparazione dei materiali.
Per il Collegio degli oncologi ospedalieri è anche importante che le posizioni espresse dalle società scientifiche, anche attraverso congressi o l’espressione di pareri di esperti, restino lontane dal rischio di possibili conflitti d’interesse. Particolarmente critica, a questo riguardo, appaiono le attività di selezione di medici e ricercatori a cui viene affidato il ruolo di “opinion leaders”, in quanto la loro attività “può facilitare l’esposizione ad una attenzione particolare da parte dell’industria, in considerazione della loro influenza sui comportamenti prescrittivi”. I criteri di scelta, è il suggerimento del position paper, dovrebbero essere basati sul merito, garantire un’adeguata rotazione nel tempo ed e esplicitare in modo rigoroso i rapporti commerciali e le condizioni di potenziale conflitto. Gli esperti più esposti ad eccessive influenze commerciali dovrebbero essere esclusi da certi tipi di attività, come ad esempio la redazione delle Linee Guida.
Anche i bilanci delle società scientifiche e i contributi da esse ricevuti dall’industria dovrebbero diventare più trasperenti, e le società dovrebbero differenziare maggiormente le fonti di finanziamento per essere meno dipendenti da questo tipo di erogazione.
La disclosure dei conflitti d’interesse è ritenuta da Cipomo un’importante strumento di trasparenza nei confronti dei cittadini, e le strutture sanitarie dovrebbero essere chiamate a garantire l’aggiornamento dei dati dei propri operatori relativi alle contribuzioni di qualunque provenienza (industria, enti, associazioni no profit) e renderli disponibili alla visione del pubblico.

Le istituzioni sanitarie dovrebbero poi disporre di più ampie risorse per le attività di ricerca e aggiornamento, che dovrebbero essere utilizzate in modo più equo per ridurre l’impatto dei contatti diretti coi i soggetti portatori di interessi commerciali. “La promozione della ricerca non sponsorizzata rappresenta un forte stimolo all’indipendenza da influenze di marketing”, scrive Cipomo nel suo documento, che si conclude con l’avvertimento che i possibili conflitti d’interesse si estendono anche a partner diversi dall’industria.

In UK cala la trasparenza dei dati

In Gran Bretagna molti degli auspici delineati dal documento dei medici oncologi ospedalieri sono già da alcuni anni realtà. Disclosure UK, infatti, è un’iniziativa nata dalla locale associazione dell’industria del farmaco (Abpi) in recepimento del Disclosure Code voluto dalla Federazione europea dell’industria farmaceutica (Efpia).

La banca dati britannica pubblica tutti i contributi (sia pagamenti che altri tipi di benefit) erogati dalle imprese del farmaco agli operatori e alle organizzazioni sanitarie. Il database include tra gli altri i dati relativi alle partecipazioni ad eventi in qualità di speaker o chairman, i servizi di formazione, gli incontri agli Advisory board delle aziende, le fees e le altre spese pagate agli operatori sanitari, le spese per la partecipazione ai congressi (incluse quelle di viaggio e alloggio), le donazioni, i grant e gli altri benefit. La pubblicazione dei dati di Disclosure UK parte dal 2015. I dati più recenti, relativi al 2017, indicano che lo scorso anno la spesa per le partnership di R&D è ammontata a quasi 371 milioni di sterline, con una crescita del 9,7% rispetto al 2016. Ciò rappresenta i tre quarti del valore totale investito (pari a £ 499,3 mln), mentre il restante (£ 128.4 mln) fa riferimento a varie altre voci, tra cui tasse di registrazione, accordi di sponsorship, viaggio e alloggio, donazioni e grant per le HCO.
Nell’82% dei casi di contributi non legati ad attività di R&D, si è trattato erogazioni a favore di persone singole o organizzazioni sanitarie,

L’impatto del regolamento GDPR

Disclosure UK ha anche analizzato l’impatto del nuovo regolamento europeo sulla protezione dei dati personali (Gdpr) sulla trasparenza delle iniziative di divulgazione dei dati sui conflitti d’interesse dei sanitari. Da questo punto di vista, il 2017 ha visto una minor trasparenza della trasmissione dei dati, che solo nel 49,1% dei casi sarebbero stati pubblicati a nome dei sanitari che hanno ricevuto pagamenti e benefit (-16% rispetto al 2016). Secondo Abpi, poiché nel 2017 il regolato Gdpr non era ancora in vigore, le aziende potrebbero aver messo in atto alcune strategie per rispondere ai nuovi requisiti, tra cui l’aver reso disponibili in forma aggregata i dati relativi al 2017 (in modo da non pubblicare dati relativi a persone singole) o aver richiesto un nuovo specifico consenso agli interessati (con una diversa adesione rispetto alle condizioni precedenti). “Sono fiducioso del fatto che questa caduta del consenso per i dati del 2017 rifletta l’equilibrio che le aziende hanno dovuto trovare tra la richiesta di rispondere ai requisiti di trasparenza e il rispetto dei diritti degli individui”, ha commentato il Ceo di Abpi, Mike Thompson.