La via verso la Brexit, la definitiva fuoriuscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, ha fatto un ulteriore e fondamentale passo avanti con l’approvazione politica, lo scorso 25 novembre, della bozza d’accordo negoziale da parte del Consiglio d’Europa straordinario. Sembra quindi che ci si stia indirizzando verso un addio più soft di quel che poteva sembrare fino a non molte settimane fa, ma non si possono escludere nuovi colpi di scena in questa storia di cui appare ancora ben lontana la definitiva parola “fine”.

I prossimi passi

Secondo quanto annunciato dalla premier inglese Theresa May, l’approvazione dell’accordo anche da parte del Parlamento britannico dovrebbe avvenire probabilmente il 10 o 11 dicembre, e già in tale circostanza non possono escludersi sorprese visto il dissenso di un numero cospicuo di parlamentari. Il leader dell’opposizione, Jeremy Corbyn, ha già annunciato il voto contrario, visto che l’accordo raggiunto è considerato dai Labour “il peggiore possibile” per la Gran Bretagna. Ovviamente dell’opinione contraria sono i leader europei che, come espresso dal presidente della Commissione UE Jean-Claude Juncker, seppur rattristati per la dipartita ritengono che sia stato raggiunto “il miglior accordo possibile“.

Sul fronte europeo, invece, la ratifica definitiva dell’accordo dovrà passare nuovamente dal Consiglio e poi dal Parlamento di Bruxelles, probabilmente entro l’inizio di febbraio 2019.

La data fatidica del 29 marzo 2019 segnerà solo l’inizio di un altro, lungo periodo di transizione, che durerà almeno fino al 31 dicembre 2020 e durante il quale il Regno Unito continuerà ad applicare le normative europee, ma sarà privata di ogni potere decisionale. I prossimi due anni serviranno per condurre le definitive negoziazioni per definire i futuri accordi commerciali tra il blocco UE e la Gran Bretagna. In caso di ritardi in tal senso, il periodo di transizione potrebbe essere ulteriormente esteso, con una decisione che dovrà essere assunta entro il 1° luglio 2020.

Le reazioni del mondo farmaceutico

Non si sono fatte attendere le reazioni delle varie rappresentanze del mondo farmaceutico sui due lati della Manica. Efpia, la Federazione dell’industria farmaceutica europea, ha accolto positivamente la ratifica della bozza da parte del Consiglio d’Europa, in particolare per quanto riguarda la previsione di un ulteriore periodo di transizione e il riferimento a un’ “area di libero commercio che combini una profonda cooperazione regolatoria e doganale“. Positiva è anche la possibilità di valutare una possibile cooperazione tra l’Agenzia europea dei medicinali (o altre agenzie europee) e le autorità del Regno Unito. L’impegno esplicito e di lungo periodo per una estesa cooperazione sui temi dei farmaci e delle tecnologie medicali, infatti, rimane per Efpia il modo milgiore per tutelare gli interessi dei pazienti e della salute pubblica.

Sull’altro lato della Manica, l’Association of British Pharmaceutical Industry (Abpi) ha confermato con un comunicato che secondo i termini dell’accordo sarà possibile continuare a rifornire i pazienti dei medicinali di cui abbisognano anche dopo la fine di marzo 2019. Il direttore genrale dell’associzione, Mike Thompson, si è espresso positivamente anche circa la porta lasciata aperta alla possibilità di collaborazione tra l’enter regolatorio inglese Mhra ed Ema, ed ha chiesto una urgente conferma da parte della politica sulle prospettive di cooperazione più stringente in campo regolatorio e della ricerca scientifica. “Senza di ciò, gli Stati Uniti e la Cina continueranno ad attrarre la maggior parte dei nuovi investimenti nelle life sciences“, ha sottolineato Thompson.

I contenuti della dichiarazione politica approvata dal Consiglio europeo sembrano aver recepito in sostanza, seppur con una formulazione molto generica, l’appello ad una stretta collaborazione nel campo della regolamentazione dei farmaci e alla responsabilità nel salvaguardare gli oltre 500 milioni di pazienti sui due lati della Manica. Appello che era giunto pochi giorni prima della ratifica della bozza d’accordo da parte di una coalizione comprendente sia Abpi che l’Nhs, il servizio sanitario britannico. Secondo il comunicato emesso in tale circostanza, la bozza di dichiarazione politica non sarebbe stata sufficientemente chiara nel garantire elementi quali la sicurezza dei medicinali, il controllo delle malattie infettive o gli interventi in caso di emergenze sanitarie. Tutti elementi che vedono una stretta interconnessione tra Uk e Ue a livello, ad esempio, dei sistemi di prevenzione della contraffazione dei medicinali e della condivisione dei “segnali” di allerta su possibili problemi per i farmaci. La sicurezza sanitaria in porti e aeroporti e quella del miliardo e oltre di confezioni di farmaci che attraversano ogni anno i confini tra i due contendenti sono altri elementi portati all’attenzione da parte dei due enti britannici.

Le dimissioni del Ceo di MHRA

Non ha neanche aspettato l’approvazione della bozza di accordo da parte del Consiglio europeo il Ceo dell’ente regolatorio inglese Mhra, Ian Hudson, che si è dimesso lo scorso 20 novembre dopo quasi vent’anni di servizio per l’Agenzia. La decisione è stata basata su ragioni sia personali che professionali, ha spiegato lo stesso Hudson in un comunicato. La voglia di avere più tempo per esplorare nuovi obiettivi e la convizione che il momento sia giusto per una nuova guida a capo dell’ente regolatorio inglese, in questa fase di cambiamento del contesto internazionale, sono le cause principali citate da Ceo uscente. Le dimissioni diventeranno effettive dall’autunno 2019, secondo quanto annunciato dal sito del governo britannico, per dar modo di completare il processo di selezione e il passaggio ordinato delle consegne al suo successore, la cui ricerca dovrebbe iniziare nei primi mesi del 2019.

Le preoccupazioni della Camera dei Lord

Sempre pochi giorni prima della ratifica politica dell’accordo, il 21 novembre, il sottocomitato per gli Affari interni della Camera dei Lord aveva inviato al ministro per la Salute le proprie osservazioni sui piani per gestire un eventuale scenario di “no deal”. Scenario che sembrerebbe per il momento scongiurato, a meno di sorprese nel passaggio dell’accordo nel Parlamento inglese.

Le preoccupazioni sollevate da Lord Jay, chairman del sottocomitato, riguardavano innazitutto la possibile difficoltà dell’import di farmaci in Uk (il 45% del totale consumato nel Regno Unito) a seguito di modifiche delle procedure doganali. La Camera dei Lord ha quindi richiesto al governo, anche sulla base di alcune ispezioni condotte nel settore delle dogane da enti e persone terze, quali piani siano stati previsti per garantire la priorità nell’importazione di farmaci e dispositivi medici, e chiarimenti sullo stoccaggio di prodotti e delle tecnologie medicinali per coprire un periodo di sei settimane, previsto dal governo in caso di “no deal”. Tale, infatti, sarebbe stato il tempo che il governo britannico aveva considerato necesasrio prima di poter riprendere dei normali flussi di fornitura, anche attraverso “altre vie” sulla queli la Camera dei Lord ha chiesto chiarimenti. Altri punti della richiesta inoltrata al governo dai parlamentari hanno riguardato la richiesta di informazioni aggiuntive sulla gara per spazi aggiuntivi di stocaggio lanciata dal governo il 23 ottobre 2018 e sulla gestione dei prodotti con brevi tempi di conservazione, che non possono venire stoccati e che il governo prevedeva d’importare per via aerea.

La lettera della Camera dei Lord richiede anche maggiori informazioni circa l’impatto previsto dal governo – in termini di economia e posti di lavoro – per quanto riguarda lo spostamento della titolarità delle autorizzazioni all’immissione in commercio dei medicinali dal Regno Unito al territorio dell’UE-27. I parlamentari fanno notare che, mentre il governo inglese aveva preannunciato un riconoscimento unilaterale post 29 marzo 2019 delle autorizzazioni e dei batch test rilasciati da Ema, non altrettanto era stato previsto dalle autorità europee per i prodotti autorizzati o rilasciati in Uk, motivo per cui l’Agenzia europea dei medicinali ha avviato il programma di variazione dei dossier al fine di adeguarli ai nuovi scenari. La Camera dei Lord ha anche chiesto chiarimenti su come il governo pensi di gestire le eventuali carenze di medicinali, visto che dopo la Brexit le aziende farmaceutiche potrebbero manifestare una ridotta flessibilità a movimentare i loro prodotti verso un’area che non fa più parte del mercato unico.

Altrettanta preoccupazione è stata data anche alla possibilità che, dopo la Brexit, le aziende farmaceutiche possano dare priorità minore all’ottenimento delle autorizzazioni per i nuovi medicinali in Uk, in quanto il paese potrebbe rappresentare un mercato più piccolo, e quindi meno interessante, rispetto a quello europeo. Il sottocomitato della Camera dei Lord ha chiesto anche chiarimenti sulla futura gestione degli studi clinici.