Si è tenuta a Roma il 19 ottobre 2019, la Tavola Rotonda dal titolo “Verso una politica nazionale di screening linkage-to-care per l’eliminazione dell’infezione da Epatite C in Italia” alla quale sono intervenuti rappresentanti dei vari ambiti, dal mondo clinico, economico e istituzionale a quello sociale con l’Associazione dei pazienti. L’obiettivo dell’iniziativa è produrre un documento tecnico con evidenze scientifiche utili per nuove politiche sanitarie e definire i prossimi obiettivi linkage to care.

Diverse evidenze e l'obiettivo fissato dall'OMS di eradicazione dell'epatite C entro il 2030 sottolineano la necessità di implementare nuove strategie per aumentare le diagnosi e i trattamenti delle persone con infezione da HCV
Diverse evidenze e l’obiettivo fissato dall’OMS di eradicazione dell’epatite C entro il 2030 sottolineano la necessità di implementare nuove strategie per aumentare le diagnosi facendo emergere i casi sommersi e per incrementare i trattamenti delle persone con infezione da HCV

I temi esaminati sono stati i risparmi per il SSN e le nuove strategie da implementare per aumentare la diagnosi e i trattamenti delle persone affette dal virus.

Il ritorno di investimento per la terapia anti-HCV

Un’analisi economica effettuata in collaborazione dal CEIS EEHTA dell’Università di Roma Tor Vergata, dal Centro di Salute Globale dell’Istituto Superiore di Sanità e dall’Agenzia Italiana del Farmaco sui pazienti trattati con i nuovi trattamenti antiretrovirali evidenzia risultati rilevanti:

«Per il periodo 2015-2018, per 1000 pazienti trattati, è stimata una riduzione a 20 anni di circa 800 eventi clinici infausti tra cui cancro, scompenso della malattia severa del fegato, morte fegato correlata o trapianto di fegato – sottolinea Francesco Saverio Mennini, Research Director, Centro EEHTA, CEIS, Università di Roma Tor Vergata. – Questa riduzione di eventi clinici consentirà una conseguente e importante riduzione della spesa sanitaria a 20 anni di oltre 52 milioni di Euro per 1000 pazienti trattati. Inoltre, sempre da questa analisi emerge con forza che l’investimento iniziale sostenuto dal SSN per il trattamento di pazienti trattati dal 2015 al 2018 verrà recuperato interamente entro 5,2 anni. Da questo momento in poi si inizieranno a generare risparmi per il SSN. L’introduzione del trattamento universale indipendentemente dallo stadio di malattia ha consentito, quindi, un’accelerazione del ritorno del investimento riducendolo a 4,5 anni per i pazienti trattati in fase lieve di malattia rispetto a 7,5 anni per i pazienti trattati in fase di una malattia più grave».

Alla luce di questi dati, far emergere il sommerso si rivela ancora di più un obiettivo fondamentale ai fini del raggiungimento dei target dell’OMS dell’eliminazione dell’infezione da HCV, che riporta a lungo termine un beneficio sia di salute sia economico per il sistema sanitario nazionale

L’importanza di far emergere i casi sommersi di infezione da HCV

Il raggiungimento dei target fissati dall’OMS per eliminazione dell’HCV può essere mantenuto solo se verranno adottate adeguate strategie di screening per far emergere il sommerso. Tuttavia, i soddisfacenti risultati conseguiti finora non devono provocare facili illusioni sul futuro.

«Con le attuali politiche sanitarie, il numero dei trattamenti inizierà a scendere e si esaurirà tra gli anni 2023-2025, lasciando alto il numero degli individui infetti ma non diagnosticati – ammonisce Loreta Kondili, Centro di Salute Globale dell’Istituto Superiore di Sanità. – Vi sono circa 300.000 soggetti stimati ancora da diagnosticare, con un’età tra 30-60 anni, circa 10 anni in meno rispetto all’età media dei pazienti già diagnosticati e curati. I prevalenti fattori di rischio degli individui con infezione non diagnosticata sono la pregressa o attuale tossicodipendenza (stimati circa 150.000 persone) e tatuaggi o piercing (circa 80.000) fatti prima della scoperta del virus nel 1989, rispetto alle precedenti trasfusioni di sangue e all’utilizzo di strumenti medici non monouso, prevalenti fattori di rischio nei pazienti già diagnosticati e curati per l’infezione da HCV».

In virtù dei numerosi studi che attestano la convenienza economica, oltreché clinica, nell’eliminare l’epatite C, gli specialisti sono dunque concordi nell’affermare che testare in modo sistematico le coorti di nascita tra gli anni 1948-1988, dove si collocano la maggior parte degli individui con infezione non nota in Italia, porterà a raggiungere gli obiettivi dell’eliminazione dell’HCV in Italia entro l’anno 2030 con costi nettamente inferiori da sostenere da parte del Sistema Sanitario Nazionale.

Il progetto “Alla ricerca del Virus” dell’epatite C

Il 21 novembre 2019, in Piazza San Pietro, è partito il “tour” dell’ambulatorio mobile con a bordo personale specializzato nell’effettuazione di esami clinici per screening ematici alla ricerca di pazienti con Epatite C, ignari spesso del proprio stato di salute. L’iniziativa ha preso il via con la benedizione dell’Arcivescovo Monsignor Rino Fisichella alla presenza del viceministro della Salute Pierpaolo Sileri, di Massimo Andreoni, direttore scientifico della Simit, responsabile dell’Unità Operativa Complessa Malattie Infettive – Tor Vergata, e di Loreta Kondili, Centro Nazionale Per la Salute Globale ISS. Ha aderito al progetto, promosso da Simit con il patrocinio del Ministero della Salute e del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, e il contributo non condizionato di Gilead, anche Claudio Cricelli, presidente SIMG (Società Italiana di Medicina Generale).

Il piccolo ambulatorio mobile raggiungerà le “piazze del disagio” in diverse città d’Italia per incontrare direttamente chi, più di ogni altro, è potenzialmente affetto dai virus quindi: in primis HCV e HIV e altre patologie infettive ricorrenti.

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