Le valutazioni di health technology assessment sul potenziale dei nuovi prodotti medicinali si basano sovente sul concetto dei “quality adjusted life years” (QALY), ovvero dell’impatto del trattamento sia in termini di qualità della vita che della sua durata, per stimare il value-for-money associato a una determinata terapia o intervento preventivo. Il tema di come valutare in modo coretto i QALY in relazione all’età pediatrica, un settore di attività che trova sempre maggiore interesse da parte delle aziende, è stato affrontato da un articolo pubblicato sul blog dell’Office for health economics.
Cinque fattori che fanno la differenza rispetto agli adulti
La domanda centrale a cui hanno cercato di rispondere gli autori, tutti accademici australiani, è se i QALY per l’età pediatrica possano essere consideranti equivalenti e direttamente comparabili con quelli determinati per l’età adulta. Il concetto di QALY, infatti, mira a fornire una misura standardizzata e sempre uguale del beneficio apportato da una terapia, sulla base della quale condurre in modo più omogeneo e coerente le analisi di Hta. È evidente che i pazienti pediatrici hanno caratteristiche molto diverse rispetto a quelli adulti, rispetto alle quali gli esperti australiani hanno individuato cinque punti base da considerare per stimare in modo corretto le differenze dei QALY che possono sorgere in relazione alle due fasce d’età.
I questionari PRO (patient reported outcomes) compilati direttamente dai pazienti o dai familiari sono il metodo standard per valutare il fattore “qualità della vita” all’interno di un QALY. La messa a punto di tali questionari implica di tararli in modo preciso non solo rispetto a ciò che si desidera misurare, ma anche rispetto alle modalità prescelte per l’interazione con il paziente/compilatore, la sua percezione degli aspetti più importanti e il tipo di riscontro che si desidera. È evidente che, in questo senso, la percezione di una giornata persa a scuola o al lavoro a causa della malattia, per esempio, può essere molto diversa tra un adulto e un bambino/ragazzo. Anche le modalità di compilazione del PRO potrebbero essere diverse: un bambino, ad esempio, potrebbe essere più portato a scegliere una faccina triste o allegra piuttosto che segnare un numero all’interno di una scala predefinita. Il suggerimento per la redazione di PRO adatti anche all’età pediatrica rivolto dagli autori è di fare sempre riferimento alle ISPOR good practices report on pediatric PROs. Sono disponibili anche questionari predefiniti, come l’EQ-5D-Y o il CHU9D, che però secondo gli autori potrebbero presentare dei bias rispetto all’oggetto che intendono stimare.
Il secondo fattore da considerare riguarda i possibili bias derivanti dal fatto che non sia il bambino a compilare il questionario, ma piuttosto un familiare o un sanitario che lo ha in cura. In questo caso, la percezione e la comprensione del problema di salute potrebbe variare tra chi lo sperimenta in prima persona e chi cerca di coglierne l’essenza, e anche la percezione stessa di cosa sia “normale” e cosa “un problema” potrebbe essere diversa tra adulti e pazienti pediatrici, e tra bambini e ragazzi più grandi.
Come valutare la salute dei più giovani
Il terzo fattore che andrebbe considerato nella definizione dei QALY pediatrici è riferito a come valutare in modo corretto lo stato di salute. Un problema che riguarda anche le valutazioni per gli adulti, ma che in questo caso richiede di valutare alcuni aspetti aggiuntivi. Secondo gli autori, le valutazioni della salute infantile da parte degli adulti tenderebbero a dare maggiore risalto alla durata della vita e alla sopravvivenza rispetto alla qualità della vita.
L’articolo sottolinea anche come il “valore” in termini di salute sia abitualmente valutato unicamente da persone adulte appartenenti alla società civile, che pagano le tasse e beneficiano della sanità pubblica. Si verrebbe quindi a creare un possibile bias valutativo rispetto a ciò che potrebbe rappresentare un “valore” per i pazienti più giovani. E se, da un lato, è piuttosto difficile pensare che i bambini possano esprimere valutazioni in prima persona, gli autori suggeriscono che gli adolescenti possano invece essere inclusi nei campioni di persone del grande pubblico coinvolti in questo tipo di valutazione. Il problema, quindi, andrebbe spostato al capire quale sia l’età di soglia superata la quale i ragazzi possano partecipare a questo tipo di attività, fondamentale per determinare i valori “mediati” che saranno poi utilizzati nei processi decisionali. Si entra in un territorio inesplorato, sottolineano gli autori, in cui non c’è ancora consenso in quanto “non si tratta solo di problemi ‘tecnici’, implicano anche un hard thinking sui giudizi di valore in gioco“.
Valori diversi per età diverse
La questione si complica ancor di più se si va a considerare come pazienti pediatrici di età diverse possono valutare in modo molto diverso la loro esperienza di salute e malattia. Un bambino di cinque anni potrebbe fornire risposte diverse da uno di 10 o da un adolescente di 15, che andrebbero in qualche modo riflesse in modo puntuale all’interno del QALY. Gli autori si chiedono anche come valutare l’effetto costo-efficacia che potrebbe derivare dalla terapia sulla vita futura del paziente pediatrico, anche a distanza di anni. La domanda, quindi, è se in questi casi si debbano usare i questionari di valutazione destinati agli adulti.
L’ultimo fattore evidenziato dal gruppo australiano è il livello di priorità nel processo decisionale che dovrebbe venire assegnato ai QALY relativi all’età pediatrica rispetto a quelli relativi agli adulti, superando così il mero criterio costo-efficacia. La domanda avanzata dall’articolo è se si debba giungere a una qualche forma di pesatura di questo tipo di fattore, e su quali basi. L’appello finale è a una collaborazione tra ricercatori e decisori, per giungere a definire meglio come misurare i QALY per l’età pediatrica nel rispetto dei giudizi di valore sociale utilizzati per le analisi Hta. “Questo potrebbe non essere lo stesso in tutti i paesi, può non esservi una soluzione ‘che va bene per tutti’“, è la conclusione degli autori da cui partire per valutare meglio l’impatto che questa visione potrebbe avere anche in Italia.