In Italia nel 2021 gli investimenti nell’equity di startup di hi-tech italiane hanno toccato quota 1,461 miliardi di euro rispetto ai 669 del 2020 (+118%). Un dato straordinario, emerso durante la sessione “La Piazza delle Start up”, che si è svolta durante il 61° Simposio AFI lo scorso 9 giugno in collaborazione con InnovUp. Un appuntamento che l’Associazione Farmaceutici Industria, dopo il successo delle passate edizioni, ha voluto fortemente riproporre per creare un’opportunità di scambio e incontro tra visitatori, aziende farmaceutiche, investitori e addetti ai lavori. Ciò è stato possibile grazie alla tavola rotonda dal titolo: “Fare Start-Up in Italia, missione impossibile?”.
L’incontro, moderato da Lorenzo Cottini (Coordinatore del Gruppo di Studio AFI sulla Ricerca Clinica) e Francesco Maria Senatore (Fondazione Toscana Life Science) è iniziato con sei pitch. Sono intervenuti Alessandro Bruno (Ingeno), Gaia Colombo (PlumeStars), Matteo Corradini (VST, spin-off dell’Università di Modena e Reggio Emilia), Enrico Paccini (eDialog), Beatrice Riva (Chemicare), Valentina Trotta (Hollycon Italy). Hanno poi preso la parola per la tavola rotonda Laura Guerra (Pfizer), Alessandro Porcu (Zambon), Marco Dotto (Angelini Venture), Graziella Pellegrini (Holostem), Simone Gardini (Genome-up) che, a vario titolo, si occupano di open innovation. Ci si è concentrati, in particolare, su come la grande impresa si apre al mondo delle startup, in che modo e con quali prerogative.
L’importanza del dialogo
Laura Guerra (Pfizer) ha approcciato l’argomento citando l’esperienza che in ambito internazionale e in Italia ha avuto con Pfizer Healthcare Hub, nato nel 2018 per la ricerca e la condivisione di idee innovative. “All’inizio abbiamo approcciato l’innovazione come un fatto culturale – ha specificato – In azienda i nostri progetti sono sempre orientati al farmaco e al vaccino. Poi ci siamo resi contro che era opportuno trovare la modalità anche di offrire dei servizi con un impatto positivo e reale sul paziente, al di là del farmaco, con soluzioni innovative e, allo stesso tempo, coinvolgere le nostre strutture interne per far sì che potesse esserci un dialogo con le startup”.
Il Gruppo Zambon, invece, mette in campo due società operative: Open Zone, Parco Scientifico che adesso ospita trentaquattro aziende e ZCube. “Ospitiamo unicamente aziende del settore life science – spiega Alessandro Porcu, Presidente e Ceo di Open Zone – che mettono in piedi centri di ricerca, laboratori e ricerca avanzata che poi seguiamo in ZCube attiva nell’innovazione e nello sviluppo di soluzioni, non sempre farmaceutiche o farmacologiche, sul life science molto mirate alla salute nelle sue declinazioni diverse”.
Tra venture capital e spin-off
Marco Dotto, di Angelini Venture, arriva dal mondo delle startup. Ne ha fondate quattro nel biotech nel settore della genomica e ovviamente sa molto bene quanto sia importante il fatto che venture capital o corporate venture capital abbiano un focus sull’helthcare. “Angelini ha creato una società di investimenti di lungo periodo con un portafoglio molto importante che farà capo alla holding. A breve saranno comunicati tutti i dettagli ma, di fatto, sarà il più importante fondo di corporate venture italiano per startup in Italia, focalizzato non solo su biotech e farmaceutico, ma su tutto ciò che è salute e può avere un impatto sociale sul paziente e sui medici che lo curano”.
Graziella Pellegrini ha parlato di Holostem Terapie Avanzate, spin-off universitario nato nel 2008 dal connubio tra gli scienziati Michele De Luca e la stessa Pellegrini, l’Università di Modena e Reggio Emilia e Chiesi Farmaceutici S.p.A. facendo notare come le aziende che hanno collaborato ai progetti hanno avuto “un ritorno sull’indotto immediato e non trascurabile”, ma con break even che invece arriva dopo molti anni data la complessità e tempi lunghi legati della tipologia di business (terapia cellulare e genica). Simone Gardini (Genome-up), infine, si è concetrato su pregi e difetti del nostro Paese. “In Italia la maggiore complessità è quella di trovare fondi. Però la sanità e la ricerca scientifica sono a livelli di eccellenza. Abbiamo know how su cui costruire startup e poi esportarle. Quello che manca – ha precisato Gardini – è l’ecosistema, servono più collaborazioni e collegamenti tra startup e fondi d’investimento che, a mio parere, dovrebbero essere più avventurieri e investire non solo in società che fatturano e sono stabili, ma nell’early stage. Si creerebbe un circolo virtuoso. Se noi cominciamo a investire come fondi italiani, poi arrivano quelli esteri, a noi è successo così. Senza fare nulla di particolare abbiamo attratto investimenti”.