Un’inchiesta firmata da Maryanne Demasi e pubblicata sul British Medical Journal (BMJ) solleva l’attenzione sulle possibili influenze sugli enti regolatori e sulle decisioni da essi assunte che potrebbero derivare dai finanziamenti di cui gli stessi enti godono da parte delle industrie farmaceutiche, le stesse che dovrebbero essere oggetto di controllo. Una dinamica che si porrebbe in contrasto con la richiesta di valutazione rigorosa e priva di bias proveniente da medici e pazienti. L’inchiesta di BMJ ha coinvolto sei enti regolatori in Australia, Canada, Europa, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti, a cui sono state sottoposte una serie di domande su finanziamenti, trasparenza dei dati e delle decisioni e tasso di approvazione dei nuovi farmaci.
Secondo Demasi, l’ente regolatorio australiano Therapeutic Goods Administration (TGA) è quello che vede il maggior finanziamento in termini di tariffe corrisposte dall’industria (96%); a ciò si contrappone l’approvazione di nove domande su dieci per nuovi farmaci. Un trend a cui fa da contraltare la ferma negazione di qualsiasi conflitto d’interesse da parte di TGA, anche se il dibattito nel paese non manca di richieste di completa revisione della struttura e delle funzioni dell’agenzia.
Secondo l’autrice dell’inchiesta, i possibili conflitti d’interesse non riguarderebbero solo i dipendenti diretti degli enti regolatori, ma anche gli esperti componenti degli advisory panel chiamanti a fornire la loro opinione indipendente. Da questo punto di vista, l’articolo indica che solo l’autorità regolatoria canadese non fa ricorso sistematico ad advice da parte di comitati indipendenti, e che il suo team di valutazione sarebbe l’unico completamente esente da conflitti d’interesse di tipo finanziario. Le agenzie regolatorie europea, giapponese e britannica pubblicano sui propri siti web una lista di membri dei vari comitati con annesse dichiarazioni di conflitto d’interesse, mentre negli Stati Uniti l’FDA giudica i conflitti d’interesse a livello di singoli meeting, e può concedere deroghe per la partecipazione. L’inchiesta pone ache attenzione alle dinamiche delle “porte girevoli”, secondo cui si assiste spesso al passaggio di rappresentanti del mondo regolatorio a quello industriale e viceversa.
Nonostante il riconoscimento degli sforzi fatti negli ultimi anni per migliorare la trasparenza e l’accessibilità dei dati degli studi clinici, Maryanne Demasi individua anche un problema nel fatto che la maggior parte delle agenzie regolatorie non effettui una valutazione diretta dei dati relativi ai singoli pazienti, affidandosi piuttosto ai riassunti preparati dagli sponsor. Le tariffe regolatorie, inoltre, contribuirebbero a supportare i percorsi accelerati di approvazione, sempre più frequenti, ma non mancano a questo riguardo le preoccupazioni che ciò possa risultare in problemi di sicurezza una volta che i prodotti sia usati in scala maggiore. Le conseguenze possono arrivare al ritiro dal mercato o, più frequentemente, all’introduzione di particolari avvertenze o alla discontinuazione volontaria di una o più forme di dosaggio da parte dell’azienda produttrice.
A fronte delle dinamiche individuate dall’inchiesta di BMJ, la proposta potrebbe essere di stabilire un organismo indipendente di supervisione, con l’autorità, i fondi e i personale necessari per investigare gli incidenti occorsi ai pazienti, sul modello di quanto avviene, ad esempio, nel campo dell’aviazione civile.