Si è parlato dei farmaci orfani, quelli che interessano pochi pazienti con malattie rare, ai quali, però, non si possono assolutamente far mancare i medicinali, perché parecchie delle loro rare malattie sono invalidanti e a volte gravissime. È avvenuto a Roma, al primo Orphan Drug Day, meritoriamente organizzato lo scorso luglio dall’Osservatorio Malattie Rare con il contributo non condizionato di Alexion, Biomarin, Celgene, Genzyme, Orphan Europe, Shire, e il coordinamento della senatrice Laura Bianconi.

Il 20% delle sperimentazioni cliniche in Italia riguarda farmaci orfani e nella ricerca vi sono esempi di eccellenza

Il mondo si è sensibilizzato a questo problema solo dopo l’introduzione ufficiale negli USA (1983) della normativa sul tema, e la designazione di “farmaco orfano” del 2000 in Europa.

L’Italia, in particolare, è molto attiva: il 20% delle sperimentazioni cliniche che vi si svolgono, riguarda farmaci orfani; e diverse relazioni hanno descritto esempi di eccellenza della ricerca svolta in Italia (Chiesi Farmaceutici, Celgene, Shire, Dompé). Il tutto, nonostante che ai farmaci orfani vada non più del 4,65% della spesa farmaceutica nazionale.

 

Sperimentazione clinica di farmaci orfani

Nell’occasione, un esauriente riferimento al problema della sperimentazione clinica, in Italia, dei medicinali, compresi gli orfani, è venuta dal direttore medico della biofarmaceutica multinazionale statunitense Celgene, Gianni De Crescenzo, che ha ricordato come Celgene sia nata proprio con la missione delle malattie rare, ad esempio il mieloma multiplo, per il quale ha ripescato la molecola della talidomide (a suo tempo, giustamente maledetta per le focomelie provocate nei feti).

In Italia, di mieloma multiplo ci sono 500 casi all’anno, per cui il nostro Paese è considerato il partner d’eccellenza di Celgene per studi su questa malattia. La ditta americana ha investito 100 milioni di euro in nove anni, con 70 studi, 1436 pazienti e collaborazione con 519 Centri sperimentali: il risultato è stato l’aumento della sopravvivenza dei pazienti, che era di 7 settimane, anche fino a 10 anni.

De Crescenzo ha però mostrato anche preoccupazione per le difficoltà oggettive che in Italia hanno finora rallentato tempi e disponibilità per gli studi clinici. Qualche esempio pratico: per attivare uno studio occorrono, da noi, mediamente 17 settimane contro le 5 della Gran Bretagna e le 9 della Germania; la sperimentazione partirebbe molto prima anche in Italia se all’interno dei Comitati Etici (CE) fosse prevista la presenza di un membro dell’Amministrazione che deve prendere la decisione di avviare lo studio. Argomento “spese”: la ditta interessata allo studio deve oggi versare una quota ad AIFA, una al CE coordinatore, una ai singoli CE per la revisione dei protocolli di studio. Dice De Crescenzo: «Sarebbe auspicabile un tariffario delle prestazioni comune a tutti i centri di ricerca clinica, si ridurrebbero così i tempi di negoziazione dei contratti».

Inoltre, ha concluso l’esponente di Celgene, «ci sono i problemi dell’omogeneità, della standardizzazione delle procedure dei CE, delle documentazioni che gli stessi richiedono, della standardizzazione dei moduli dei Consensi Informati. Tutte richieste a costo-zero per le strutture sanitarie, che permetterebbero una drastica riduzione dei tempi di approvazione delle ricerche cliniche».

Sostenibilità della spesa per i farmaci orfani

È poi emerso il problema della sostenibilità della spesa per i farmaci orfani, che sono rimborsati per l’81% dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e nel 2013 hanno impegnato il 4,65% della spesa farmaceutica italiana.

Finora, come ha detto Emilio Clementi, direttore Unità operativa Farmacologia Clinica, Osp. Sacco-Milano, il SSN è riuscito a coprire questa spesa, ma in futuro non sarà più così perché, soprattutto con l’avanzare della nuova ricerca un ciclo di cure potrà costare anche centinaia di migliaia di euro l’anno per paziente. La sostenibilità economica diverrà sempre più uno scottante problema.

Molto si è fatto negli ultimi anni per uno sviluppo razionale dei farmaci orfani, ma molto resta da fare, ha aggiunto Clementi: non si può mettere in discussione il diritto alla cura della salute delle persone con malattie rare, magari per contrarre la spesa o per scelte di spesa basate soltanto sui criteri costo-efficienza, che poco si adattano ai farmaci orfani.

La conclusione è che per lo sviluppo di questi farmaci occorre un approccio razionale che non prescinda “dal coinvolgimento di tutti gli stakeholder in sinergia e con senso di responsabilità”.