La scarsa qualità e un’interpretazione spesso fuorviante dei risultati delle sperimentazione animali sarebbero alla base di un “fallimento sistematico” di questo tipo di studi, secondo il British Medical Journal. Tanto da richiedere un intervento urgente da parte dei legislatori per meglio indirizzare una pratica da sempre molto controversa, ma tuttora ritenuta indispensabile prima di iniziare gli studi clinici dei nuovi farmaci nell’uomo.

La denuncia viene dall’ultimo numero della rivista, che ha pubblicato un’inchiesta firmata dall’associate editor Deborah Cohen sulla vicenda legata alla sperimentazione pre-clinica di un  vaccino per la tubercolosi (leggila qui).
Secondo l’editoriale di accompagnamento a firma degli olandesi Merel Ritskes-Hoitinga e Kim Wever, l’attuale tasso di non riproducibilità degli studi pre-clinici si attesta tra il 51% e l’89%. Il miglioramento della trasparenza sugli studi animali dovrebbe passare, secondo i due esperti di Syrcle, attraverso “un cambio di cultura, per cui i ricercatori siano premiati per la produzione di risultati validi e riproducibili, che siano rilevanti per i pazienti e che assicurino la giustizia per gli animali utilizzati”. Lo strumento di elezione per conseguire questo scopo, suggerisce l’editoriale, dovrebbe essere la review sistematica degli studi pre-clinici animali, che dovrebbe porsi come “re-search” e solida base per gli studi clinici, nonché  passare attraverso la richiesta di rapporti di qualità elevata da parte delle autorità regolatore.

Uno schema che riassume l’iter della sperimentazione pre-clinica e clinica del vaccino MVA85A (credits: BMJ)

Un problema noto e multi-fattoriale

Secondo le fonti citate da Deborah Cohen, il problema non sarebbe riferito solo al caso specifico del vaccino MVA85A, ma si estenderebbe più a largo raggio a tutta la sperimentazione pre-clinica. I motivi individuati dall’autrice sono numerosi, e includono il disegno degli studi, la scarsa comprensione dei metodi statistici e della chiara individuazione degli obiettivi degli studi animali. Ma non solo: la vicenda raccontata da Cohen segnala una volta di più la difficoltà per i ricercatori indipendenti di ottenere i protocolli di studio e le altre informazioni di base sulla sperimentazioni (inclusa la richiesta di autorizzazione al comitato etico per gli studi animali), la pressione per ottenere i finanziamenti e la scarsa attenzione prestata dagli enti regolatori alla sperimentazione animale. Non ultimo, i conflitti d’interesse che potrebbero avere i ricercatori universitari, che secondo l’inchiesta si collocano all’interno di strutture che sarebbero poco adeguate sul piano operativo per individuare e porre rimedio ai casi di condotta fuorviante.
Mentre abbiamo una chiara roadmap per come appare un robusto programma di sperimentazione clinica sul piano etico e scientifico, non abbiamo la stessa cosa per gli studi animali”, ha commentato nell’articolo Malcolm Macleod, che insegna Neurologia e Scienze traslazionali all’università di Edimburgo. McLeod è anche autore di un secondo editoriale  collegato all’inchiesta di Bmj, in cui chiede di stabilire un approccio più sistematico per decidere quando un certo prodotto è pronto o meno per entrare nella fase clinica nell’uomo.

Per McLeod, l’atteggiamento tenuto dai rappresentanti accademici lungo l’intera vicenda del vaccino per la tubercolosi sarebbe indice di una potenziale perdita di reputazione ed autorevolezza dell’accademia rispetto al suo scopo principale, ovvero produrre ricerca di valore per la società. “Gli investigators hanno il dovere di cambiare i piani sperimentali qualora cambino le circostanze, se ciò aumenta l’utilità del lavoro; ma tali cambiamenti devono essere trasparenti e giustificati, cosicché i ricercatori possano interpretare di conseguenza i risultati”, scrive McLeod. Il docente dell’università di Edimburgo solleva anche la questione di come i ricercatori e le istituzioni rispondono alle critiche: l’esperienza del vaccino per la tubercolosi indica una modalità che “vede le critiche come una sfida da rigettare e resistere”, tipica di ambienti competitivi dove l’importante è vincere a qualunque costo. In questo filone si inserisce anche, secondo McLeod, il desiderio fine a se stesso di pubblicare in riviste ad alto impact index o di ottenere elevati finanziamenti per la ricerca. Le critiche andrebbero invece affrontate come un’opportunità per meglio approfondire ciò che non ha funzionato, e per migliorare l’approccio allo sviluppo dei nuovi farmaci. “In questi tempi tribolati, la fiducia del pubblico è più importante che mai”, suggerisce Malcom McLeod alla classe accademica.

Il caso del vaccino MVA85A

L’inchiesta di Bmj approfondisce lo sviluppo del vaccino MVA85A quale parenteral booster del vaccino BGC per la tubercolosi, da parte del Jenner Institute dell’Università di Oxford. MVA85A è stato testato su quasi 2800 bambini sudafricani nel 2009, dopo aver superato con successo una sperimentazione sugli animali dalla quale sarebbe risultata la sua sicurezza ed efficacia. Lo studio in umano è fallito e, secondo quanto riporta Cohen, ciò avrebbe anche comportato un taglio dei fondi per la ricerca sulla tubercolosi.
Ma il punto centrale dell’inchiesta è un altro, ovvero il fatto che i dati pre-clinici presentati dai ricercatori del Jenner Institute alle autorità regolatorie sarebbero stati incompleti e potenzialmente fuorvianti. Una review indipendente del 2015 condotta su otto studi pre-clinici inerenti il vaccino (pubblicati nel periodo 2003-2010, per un totale di 192 animali), avrebbe infatti indicato una sovrastima dei dati ottenuti, in particolare per quanto riguarda l’efficacia di MVA85A come booster del vaccino BGC. Più in particolare, secondo Cohen i due studi che avevano mostrato efficacia erano stati condotti con modalità diverse rispetto a quelle usate per la somministrazione nell’uomo.
Uno studio sulle scimmie macaco, inoltre, è per Bmj particolarmente controverso, in quanto solo una delle sei scimmie che hanno ricevuto sia MVA85A che BGC è sopravvissuta alla tubercolosi, contro le 4 su 6 che hanno ricevuto solo il vaccino BGC (nessuna scimmia non trattata è sopravvissuta). Alcuni dei risultati di questo studio non sarebbero stati inclusi nella documentazione regolatoria per autorizzare la sperimentazione in umano, riporta l’inchiesta, che descrive anche nel dettaglio le varie fasi con cui Peter Beverley – un ricercatore dell’università di Oxford che aveva intuito alcuni punti di criticità nei dati parziali dello studio sui macachi presentati in vari poster a diversi convegni – ha cercato di approfondire tali risultati sia a livello universitario che degli enti finanziatori (Medical Research Council e Wellcome Trust) e dell’MHRA, l’ente regolatorio britannico, andando però sempre a scontrarsi con l’apparente inconsapevolezza dell’apparato burocratico. Deborah Cohen ricostruisce anche l’iter regolatorio (e le molte reticenze nel fornire alla stampa le relative informazioni) che ha portato all’approvazione dello studio clinico da parte dell’autorità regolatoria sudafricana.