Nuovi possibili approcci alle malattie cardiovascolari con rivaroxaban sono stati presentati al XXIII congresso FADOI (Bologna, 12-15 maggio 2018) e al simposio “Rivaroxaban: dalle evidenze consolidate alle prospettive future”.

Nuovi approcci alle malattie cardiovascolari con rivaroxaban
Le opzioni terapeutiche per le malattie cardiovascolari si sono arricchite con rivaroxaban

La terapia antitrombotica raccomandata dalle attuali linee guida per i pazienti affetti da coronaropatie (CAD) e arteriopatie periferiche (PAD) è l’impiego di antiaggreganti piastrinici che, però, non risultano sufficienti, in quanto le percentuali di eventi cardiovascolari risultano elevate.

Rivaroxaban più aspirina per le coronaropatie e le arteriopatie periferiche croniche

Bayer, con lo studio COMPASS, ha approfondito in pazienti con coronaropatie e/o arteriopatie periferiche croniche l’effetto del trattamento con rivaroxaban al dosaggio vascolare di 2,5 mg due volte/die più aspirina 100 mg una volta/die.

Nello studio, questo trattamento ha ridotto il rischio combinato di ictus, infarto del miocardio e morte per cause cardiovascolari del 24%. Inoltre, nelle popolazioni di pazienti con arteriopatie periferiche, si è avuta una significativa riduzione di eventi maggiori, che hanno interessato gli arti e tutte le amputazioni maggiori da causa vascolare (-70%).

«Gli antiaggreganti piastrinici come l’acido acetilsalicilico e gli inibitori del recettore P2Y12 (per esempio clopidogrel e ticagrelor) bloccano l’azione delle piastrine per contatto con il collagene sulla parete del vaso, ma non bloccano l’attivazione diretta delle piastrine da parte della trombina. Per questo, – dichiara Francesco Dentali, direttore della Medicina Generale dell’Ospedale di Luino –l’impiego di un farmaco che inibisce la formazione della trombina, in monoterapia o in associazione a un antiaggregante piastrinico, può dare origine a una più efficace inibizione della trombosi rispetto a una strategia terapeutica che prevede il solo impiego di terapia antiaggregante piastrinica».

«Rivaroxaban – continua Francesco Dentali – è il primo anticoagulante orale non antagonista della vitamina k ad essere valutato in questi pazienti ad alto rischio e ha dato risultati sorprendenti».

Nel febbraio 2017, infatti, in occasione della prevista analisi intermedia, lo studio COMPASS ha raggiunto l’endpoint primario prima del previsto. È stato quindi interrotto anticipatamente per l’elevata efficacia del farmaco.

Approccio terapeutico per il tromboembolismo venoso (TEV)

Inoltre, durante il simposio “Rivaroxaban: dalle evidenze consolidate alle prospettive future”, organizzato da Bayer, si è parlato di tromboembolismo venoso (TEV) e del relativo approccio terapeutico.

In pazienti con tromboembolismo venoso la terapia anticoagulante è raccomandata per tre mesi e oltre, in base al rapporto tra rischio di recidiva e rischio di emorragia del singolo paziente. In soggetti con TEV il pericolo di recidiva aumenta fino al 10% nel primo anno se la terapia viene interrotta dopo 3, 6 o 12 mesi. I clinici, quindi, devono valutare attentamente se protrarre la terapia anticoagulante per periodi più lunghi, data l’incertezza del rapporto rischio-beneficio di un determinato paziente.

Bayer ha quindi dato vita allo studio EINSTEIN CHOICE per trovare risposte a domande che emergono nella pratica clinica. Da questo studio emerge che, oltre al dosaggio standard di rivaroxaban di 20 mg, il medico ha a disposizione un’ulteriore opzione terapeutica contro le recidive di TEV: il dosaggio da 10 mg in monosomministrazione giornaliera.

«Lo studio risponde a un evidente medical need – afferma Davide Imberti, direttore dell’Unità Operativa di Medicina Interna del Centro Emostasi e Trombosi dell’Ospedale di Piacenza.La terapia anticoagulante è efficace per la prevenzione di recidive di TEV, ma spesso il rischio di complicanze emorragiche fa propendere per l’interruzione della terapia stessa o per il passaggio all’acido acetilsalicilico. Lo studio EINSTEIN CHOICE permette di ragionare diversamente, scegliendo il dosaggio adatto al rischio del paziente. Lo studio è stato recepito dalla scheda tecnica da EMA: la dose raccomandata dopo 6 mesi di trattamento è di 10 mg/die ma in pazienti a più alto rischio persiste l’indicazione d’uso di 20 mg/die. Questo permette al clinico di decidere la dose del farmaco in base al profilo di rischio individuale».

Potenziali benefici di rivaroxaban in pazienti oncologici con trombosi venosa profonda

Nel corso del simposio si è anche parlato della valutazione dei potenziali benefici di rivaroxaban in pazienti oncologici con trombosi venosa profonda.

Nei pazienti con cancro e TEV, l’utilizzo di anticoagulanti orali diretti come rivaroxaban al posto di eparina a basso peso molecolare trova riscontro nei dati del trial Select-d.

Davide Imberti spiega che nell’ambito dello studio clinico condotto in 400 pazienti con cancro e TEV è stato confrontato il trattamento con:

  • dalteparina (200 IU/kg die il primo mese e 150 IU/kg die in seguito, per una durata complessiva di sei mesi),
  • rivaroxaban (15 mg due volte/die per 3 settimane e poi 20 mg una volta/die per 6 mesi). 

Dopo 6 mesi di trattamento, i 300 pazienti con TEV che presentavano trombosi venosa residua sono stati randomizzati a placebo o rivaroxaban per ulteriori 6 mesi.

Outcome primario del trial Select-d era la recidiva di TEV.

Outcome secondari erano:

  • i tassi di sanguinamento maggiori e clinicamente rilevanti,
  • la sopravvivenza,
  • i costi del trattamento,
  • la sua tollerabilità.

A sei mesi, i tassi di recidiva di TEV erano dell’11% nel braccio dalteparina e del 4% in quello rivaroxaban. 

Le percentuali di sanguinamenti maggiori sono risultati simili nei due bracci di trattamento ed attribuibili prevalentemente ad emorragie gastrointestinali; quelli minori clinicamente rilevanti sono stati, invece, più elevati nel braccio rivaroxaban.

Davide Imberti conclude che questi dati suggeriscono un vantaggio clinico significativo, anche se si devono bilanciare bene le complicanze legate al sanguinamento.

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