L’Agenzia europea dei medicinali (Ema) ha chiarito la propria visione sui pro e contro dei diversi approcci alla valutazione del beneficio terapeutico aggiuntivo apportato dai nuovi trattamenti, attraverso un articolo pubblicato su Nature Reviews Drug Discovery e firmato da tre sue figure di primo piano, il direttore generale, Guido Rasi, il Senior medical officer, Hans-Georg Eichler, e il chairman del comitato per i medicinali ad uso umano (Chmp), Harald Enzmann.
Il futuro è nell’evidence by design
I nuovi modelli di sviluppo farmaceutico basati sul valore richiedono che i nuovi prodotti presentino dei benefici aggiuntivi, un “valore aggiunto”, rispetto a quelli già sul mercato. Se è compito delle aziende produrre dossier regolatori basati su ricerche solide, che abbiano dato luogo a dati affidabili, rimane in capo agli enti regolatori aiutare gli altri stakeholder a distinguere i medicinali realmente innovativi, in grado di distinguersi dalle alternative e a cui, di conseguenza, è possibile concedere un prezzo più elevato.
Un obiettivo che le autorità regolatorie dovrebbero perseguire spiegando in modo esplicito i benefici che i nuovi trattamenti presentano al momento dell’approvazione. Le fondamenta di questo tipo di approccio, inoltre, andrebbero ritrovate nella richiesta alle aziende di percorsi di sviluppo “evidence by design”, basati su programmi in grado di rispondere fin dagli stadi precoci alla necessità di produrre tutte le evidenze necessarie a supportare le decisioni regolatorie. Questo tipo di approccio prevede una stretta interazione tra azienda ed ente regolatore al fine di comprendere ed indirizzare al meglio il disegno degli studi clinici.
Il gap tra innovazione e valore terapeutico
Il problema di fondo evidenziato dall’articolo degli esperti di Ema è che spesso viene confusa la semplice “innovazione” con quella che rappresenta un reale passo avanti sul piano della cura delle malattie. Proprio questo “beneficio terapeutico aggiuntivo” è il fattore che più interessa dal punto di vista dell’autorità regolatoria, chiamata a valutare un nuovo medicinale, e da quello degli enti di health technology assessment che ne stabiliscono il prezzo e le modalità di rimborso.
Gli ultimi anni hanno visto una fortissima pressione sulla sostenibiità dei vari sistemi sanitari nazionali a causa dei prezzi molto elevati dei farmaci “innovativi”, con la conseguenza che molte autorità hanno iniziato a mettere dei paletti sui livelli di prezzo che le aziende riescono a spuntare in presenza di benefici clinici reali assenti o molto limitati.
Autorizzare solo la vera innovazione
La principale proposta che arriva dall’articolo dell’Agenzia europea dei medicinali è che solo quei nuovi prodotti che dimostrino un valore terapeutico aggiunto possano venire autorizzati per l’immissione in commercio. A ciò potrebbe venire aggiunta l’obbligatorietà di paragonare il farmaco in sviluppo con il miglior trattamento già disponibile sul mercato, sulla base di grandi studi randomizzati a controllo attivo.
Il rovescio della medaglia è dato dalla minore flessibilità di sviluppo e autorizzazione dei medicinali portata da questo tipo di approccio, che potrebbe riflettersi in scarsi benefici sia per i pazienti che per i sistemi sanitari. L’esempio portato dall’articolo è quello dei farmaci “me-too”, che si sono differenziati solo sulla base dei risultati legati all’uso nel contesto reale, ad esempio per quanto riguarda i diversi profili di sicurezza e/o efficacia, le interazioni farmaco-farmaco o gli effetti collaterali. Non vanno poi dimenticati i possibili bias legati alla risposta terapeutica specifica del singolo paziente, che potrebbero in futuro trovare risposta nella crescente applicazione dei metodi “-omici” per la selezione del trattamento più adeguato sulla base delle caratteristiche della singola persona.
Lo scenario descritto dai rappresentanti di Ema deve considerare anche le preferenze del paziente, che possono andare più o meno a favore dell’efficacia della terapia o della limitazione degli effetti avversi, e che quindi richiedono la disponibilità di approcci diversi nell’armamentario terapeutico dei medici. Una crescente competizione tra aziende nello sviluppo contemporaneo di farmaci per lo stesso target terapeutico, inoltre, potrebbe secondo l’articolo contribuire a rompere i monopoli e a contenere i prezzi di prodotti simili.
È anche vero che, vista la lunga durata degli studi clinici, la comparazione verso il miglior medicinale disponibile potrebbe risultare superata al termine dello studio a causa della comparsa nel frattempo di altri trattamenti. Ove eticamente accettabile, la sperimentazione contro placebo potrebbe risolvere questa limitazione, assicurando anche una linea di partenza univoca per la determinazione dei benefici.
La comparazione indiretta e l’efficacia comparativa
L’articolo su Nature Reviews Drug Discovery analizza quattro diversi livelli per l’inserimento del concetto di valore aggiunto all’interno del percorso regolatorio. A quanto già menzionato va aggiunta anche la possibilità di condurre studi mirati ad una comparazione indiretta dei benefici di un nuovo trattamento, ad esempio utilizzando disegni del tipo “mixed treatment comparisons” (MTCs), in cui due prodotti sono comparati in base ai dati già raccolti per ognuno di essi rispetto ad un terzo prodotto. La criticità è in questo caso rappresentata dalla disponibilità di endpoint comuni che permettano il paragone dei dati: un obiettivo che Ema sta perseguendo da tempo, ma che richiede ancora un fine tuning tra i diversi attori che vi afferiscono.
L’ultimo punto sollevato dall’articolo riguarda l’opportunità di focalizzare in modo più esplicito la valutazione e comunicazione regolatoria sugli aspetti di efficacia comparativa della valutazione beneficio-rischio, superando la visione spesso fuorviante del beneficio “assoluto”. È possibile contestualizzare questo tipo di valutazione anche negli studi contro placebo, sottolineano gli esperti di Ema, e anche per quanto riguarda l’opportunità di meglio esplicitare i benefici positivi, negativi o neutri anche a livello di sottogruppi di pazienti, come richiesto dagli stakeholder.