Uno studio real life ha riguardato rivaroxaban per il rischio di embolia sistemica e ictus in pazienti fragili con FANV (fibrillazione atriale non-valvolare). Nello studio real life rivaroxaban ha ridotto significativamente il rischio di ictus ed embolia sistemica del 32% in questa popolazione al follow-up a due anni rispetto a warfarin, senza differenze significative in termini d’emorragia maggiore. Lo studio, ha valutato, oltre a rivaroxaban, anche apixaban e dabigatran sempre a confronto con warfarin.

Uno studio real life ha riguardato rivaroxaban per il rischio di embolia sistemica e ictus in pazienti fragili con FANV

 

Bayer AG e il suo partner di sviluppo Janssen Research & Development, LLC hanno riferito nuovi dati real life dal database di Truven MarketScan negli Stati Uniti. Tali dati dimostrano che i pazienti fragili con FANV trattati per un periodo di due anni con rivaroxaban hanno avuto un rischio ridotto di:

  • ictus ed embolia sistemica del 32%
  • ictus ischemico del 31%,

rispetto ai pazienti trattati con warfarin.

Lo studio ha anche valutato efficacia e sicurezza di apixaban e dabigatran e, per nessuno di questi due farmaci, nel database di Truven MarketScan negli Stati Uniti, è stata vista, a due anni, una significativa riduzione del rischio di ictus e di embolia sistemica rispetto a warfarin.

«Il buon profilo d’efficacia e sicurezza di rivaroxaban è già confermato all’interno delle numerose popolazioni di pazienti con FANV. I risultati di questo studio sostengono ulteriormente l’efficacia del farmaco nella vita reale in pazienti fragili, che hanno minore probabilità di ricevere un’adeguata terapia anticoagulante – spiega Martin van Eickels, responsabile Medical Affairs di Bayer. – Questo genere di evidenze di real life, unite a quelle ottenute dai trial clinici di registrazione, offrono un ricco ventaglio di informazioni utili per poter gestire al meglio i pazienti con patologie cardiovascolari».

I risultati dello studio sono stati pubblicati sul Journal of the American Heart Association.

Rivaroxaban è un inibitore orale del Fattore Xa.

Fragilità e fibrillazione atriale non-valvolare

La fragilità è uno stato clinico comune riscontrato prevalentemente negli anziani, che ne rende difficile la ripresa da eventi cardiovascolari e li rende vulnerabili agli esiti peggiori.

Chi soffre di FANV è quattro volte più a rischio di fragilità rispetto a chi non ne soffre. Inoltre, questa patologia è associata a un aumento del rischio di ictus di cinque volte. Il 15% – 20% degli ictus si verifica poi in soggetti con questa patologia.

Nonostante ciò, la ricerca ha dimostrato che le persone fragili con fibrillazione atriale non-valvolare hanno una minore probabilità di ricevere un’adeguata terapia anticoagulante rispetto ai soggetti non-fragili.

«Non c’è consenso diffuso sul miglior modo di gestire pazienti fragili con fibrillazione atriale non-valvolare nella pratica clinica, e questo spiega perchè alcuni pazienti non vengano trattati e restino ad alto rischio di ictus – dichiara Craig Coleman, farmacista, professore di Pratica Farmaceutica dell’Università del Connecticut. – Questi risultati hanno riscontrato che la terapia di lungo termine con rivaroxaban ha ridotto il rischio di ictus ed embolia sistemica in questa popolazione di pazienti vulnerabili, senza aumentare il rischio d’emorragia maggiore. Contemporaneamente forniscono ai sanitari importanti conoscenze su un approccio efficace e ben tollerato per trattare i loro pazienti fragili con FANV».

Nello studio, i pazienti fragili con FANV in terapia con rivaroxaban, apixaban o dabigatran sono stati individuati attraverso il database statunitense Truven MarketScanrelativo alle richieste di rimborsi sanitari. La loro fragilità è stata determinata utilizzando l’algoritmo di calcolo di un indicatore basato sulle richieste di rimborsi sanitari del Johns Hopkins, un algoritmo che assegna un punteggio a 21 criteri individuabili in tali richieste, tra cui aspetti demografici, co-morbilità e disfunzionalità fisiche e cognitive.

Lo studio real life su rivaroxaban per il rischio di embolia sistemica e ictus in pazienti fragili con FANV

Attraverso le informazioni sulle richieste di rimborsi sanitari reperite attraverso i database statunitensi MarketScan e relative al periodo compreso fra novembre 2011 e dicembre 2016, i ricercatori hanno individuato 19.077 nuovi utilizzatori di rivaroxaban, apixaban, dabigatran o warfarin non trattati in precedenza con terapia anticoagulante. Questi soggetti avevano, inoltre, almeno 12 mesi di copertura assicurativa continuativa ed erano considerati pazienti “fragili”.

Nello studio retrospettivo sono stati compresi in totale 10.754 pazienti di cui:

  • 2.635 in terapia con rivaroxaban,
  • 1.392 con apixaban,
  • 1.350 con dabigatran,
  • 5.377 con warfarin.

Ciascun utilizzatore di rivaroxaban, apixaban e dabigatran, rispondente ai criteri, è stato accoppiato per punteggio di propensione a un utilizzatore di warfarin in un rapporto di 1:1, minimizzando la presenza di differenze basali fra le coorti.

I soggetti, in ciascun gruppo di terapia, sono stati quindi associati separatamente a quelli in trattamento con warfarin con un rapporto 1:1 e seguiti per due anni, o fino al verificarsi di un evento, o all’uscita dal piano assicurativo, o alla fine del follow-up. L’endpoint primario d’efficacia era ictus (ischemico o emorragico) o embolia sistemica e l’endpoint primario di sicurezza era emorragia maggiore.

Oltre ai risultati a due anni, sono anche stati tracciati gli esiti dei pazienti a un anno.

Risultati dello studio real life su rivaroxaban per il rischio di embolia sistemica e ictus in pazienti fragili con FANV

I ricercatori non hanno riscontrato alcuna differenza significativa per ictus o embolia sistemica con rivaroxaban, apixaban o dabigatran rispetto a warfarin a un anno. Apixaban è stato però associato a riduzione del rischio di emorragia maggiore a un anno rispetto a warfarin. Rivaroxaban e dabigatran hanno avuto percentuali d’emorragia maggiore simili a warfarin a un anno, ma percentuali significativamente inferiori di emorragia intracranica.

Le osservazioni al follow up a due anni dimostrano che rivaroxaban è stato associato a una riduzione significativa rispetto a warfarin del:

  • 32% di ictus o embolia sistemica (HR=0,68; IC al 95%=0,49-0,95),
  • 31% di ictus ischemico (HR=0,69; IC al 95%=0,48-0,99).

Inoltre, i pazienti trattati con rivaroxaban hanno avuto percentuali d’emorragia maggiore simili rispetto a quelli trattati con warfarin (HR=1,07; IC al 95%=0,81-1,32).

Né apixaban né dabigatran hanno mostrato di ridurre il rischio di ictus o embolia sistemica rispetto a warfarin (HR=0,78; IC al 95% =0,46-1,35 e HR=0,94; IC al 95%=0,60-1,45) nella popolazione di questo studio. Inoltre, le percentuali d’emorragia maggiore sono state simili fra apixaban e warfarin (HR=0,72; IC al 95%=0,49-1,06) e fra dabigatran e warfarin (HR=0,87; IC al 95%=0,63-1,19).

I risultati real life integrano quelli ottenuti in studi controllati randomizzati, fornendo ulteriori informazioni su come un farmaco si comporta nella pratica clinica quotidiana.  Presentano, tuttavia, dei limiti e non possono essere utilizzati da soli, come evidenze per validare efficacia e/o sicurezza di una terapia.

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