Un domani radioso, ma bisogna superare l’oggi

Marco Scatigna, direttore medico e scientifico di Sanofi, ha analizzato l’evoluzione della ricerca negli ultimi trent’anni andando a valutare a ritroso come i cambiamenti degli investimenti e dell’organizzazione di quest’area hanno influenzato il successo commerciale delle big Pharma. Partendo dal confronto della classifica delle prime dieci industrie per fatturato a livello mondiale nel 1981 e nel 2011 il relatore ha notato come i cambiamenti siano legati sia a Merger&Acquisition, ma soprattutto agli investimenti in ricerca: le società con i fatturati maggiori sono quelle che hanno dedicato più risorse alla ricerca in questo arco di tempo. Questo è particolarmente evidente nelle società statunitensi che hanno investito in ricerca in misura superiore rispetto a quelle europee e sono quindi riuscite a scoprire e portare sul mercato numerosi prodotti innovativi. Tuttavia nonostante gli investimenti la produttività della ricerca si è ridotta negli ultimi decenni. «Gran parte della diminuzione della produttività della ricerca è legata a una certa incapacità aziendale a gestire i grandi centro di ricerca soprattutto per quanto riguarda la gestione del capitale umano. L’esternalizzazione sempre più spinta delle ricerche cliniche e la loro gestione in un’ottica sempre più di efficienza economica ha portato a un danno allo sviluppo dei farmaci. Bisogna studiare nuovi modelli di ricerca che vedano alleanze tra industria privata e partner pubblici quali le università». È questo il parere personale che Scatigna ha voluto condividere con la platea del simposio, lasciando la parola a un altro esponente della ricerca industriale Giuseppe Recchia, direttore medico e scientifico di GSK. Recchia ha analizzato e approfondito le prospettive offerte da modelli di ricerca con nuove priorità (prevenzione e cura di malattie oggi senza cura) e che vedono una coopetizione tra soggetti privati e pubblici. «Secondo gli analisti di PWC il futuro della farmaceutica è radioso, c’è però il problema di sopravvivere oggi per arrivare a domani. Ma non è impossibile» riflette Recchia. Bisogna innovare la terapia, aggiungendo beneficio dove ci sono bisogni medici non soddisfatti. La malattie cui si rivolge la ricerca non possono avere soluzioni “universali” come sono quelle offerte dai blockbuster degli anni ‘80, ma sono malattie caratterizzate da una bassa numerosità di pazienti con necessità cliniche ben definite e particolari. Quindi è anche abbastanza impensabile che in un solo centro di ricerca sia esso pubblico o privato ci siano tutte le competenze necessarie per identificare target terapeutici, scoprire composti per malattie così diverse e con soluzioni nuove entità chimiche, biologici, vaccini terapeutici e terapie avanzate. Bisogna quindi cooperare, ma bisogna capire come farlo. Per competere con altre aziende un’industria deve nutrire la propria R&D con la realtà esterna quali l’università o suoi spin-off o Corporate Venture Fund o fondazioni di pazienti. Il relatore ha poi analizzato la situazione italiana per quanto riguarda la bassissima attrattività dell’Italia per la sperimentazione clinica (a livello mondiale è oltre al 35° posto) . Oltre a sviluppare il sistema Paese è necessario sviluppare la coopetizone, cioè lavorare insieme tra soggetti che hanno interessi competitivi, ma che hanno un’area di interessa comune che se sviluppata può portare vantaggi ad entrambi. Un esempio di questo è il progetto Transcelerate sviluppato in Usa de diverse Industrie farmaceutiche in coopetizione per togliere il collo di bottiglia della sperimentazione clinica.