Gli API biotech: prospettive e sfide del presente e del prossimo futuro

Il tema della sessione, moderata da Maurizio Battistini (Afti) e da Piero Iamartino (AFI), è stato introdotto da Marcello Fumagalli (CPA, Milano) che ha innanzitutto richiamato la complessità della struttura di un API di origine biotecnologica rispetto a uno di sintesi, complessità che comporta approcci differenti nell’affrontare i processi produttivi e la manipolazione del prodotto. Nonostante tali difficoltà, il mercato degli API biologici, attualmente intorno al 16% del mercato globale dei principi attivi farmaceutici, è in forte crescita, soprattutto nell’area asiatica. In particolare, i biosimilari mostrano già nel 2013 un trend di crescita annuale del 20% con la previsione di una rapida espansione entro il 2023 per il lancio di anticorpi monoclonali e insuline biosimilari.

I dati relativi al mercato sono stati ripresi e ulteriormente analizzati da Walter Cleymans (Aschimfarma) che forte della sua esperienza attuale in Teva ha presentato come un’azienda leader del settore API affronta le opportunità offerte dal mercato. In particolare, l’attenzione è stata posta sulle scadenze brevettuali che permetteranno l’accesso a costi più contenuti a beneficio di più pazienti. Questa prospettiva vede Teva ben posizionata in termini di capacità di sviluppo e di produzione di biosimilari, con una strategia di mercato mirata a collocarsi tra le prime aziende del settore.

Con l’intervento di Rita De Santis (Sigma-Tau, Pomezia, RM), esperta nello sviluppo di API biotech, ci si è addentrati in aspetti tecnici e regolatori. Innanzitutto, sono state evidenziate le difficoltà di “copiatura” di un API biotech in ragione delle caratteristiche del prodotto, che richiedono valutazioni caso per caso. Queste difficoltà si accompagnano con un quadro normativo ancora difforme e incompleto a livello globale, dove l’Europa (EMA) si distingue per aver, già da alcuni anni, elaborato una linea guida sui biosimilari. Le problematiche di sviluppo di biosimilari sono state esposte focalizzando l’attenzione sui criteri di comparabilità con l’API di riferimento e sui numerosi conflitti esistenti nell’introduzione sul mercato, tra i quali: le barriere poste dagli originatori (che tendono a offrire la versione biosimilare accanto a quella originale), le contraddittorie spinte dei paesi emergenti, le pressioni dei governi per il contenimento dei costi della salute e, infine, le opportunità che si creano per nuovi investimenti industriali.

Luigi Colombo (RBM-MerckSerono, Collaretto Giacosa, TO) dopo aver mostrato le previsioni di crescita del numero di API biotech tra i top 10 di mercato, a scapito di API di sintesi, ha presentato i fattori facilitanti e quelli ostacolanti l’introduzione di biosimilari. Tra i primi, si rilevano gli sviluppi in campo regolatorio e la posizione favorevole delle autorità sanitarie ad una riduzione della spesa sanitaria. Tra gli ostacoli, si rilevano gli elevati costi di sviluppo e le obiettive difficoltà per dimostrare la similarità con il prodotto originale. Quest’ultimo aspetto è stato ulteriormente sviluppato richiamando la necessità di un approccio integrato per lo studio degli attributi critici di qualità e esponendo dati relativi al caso epoietina dove si sono riscontrate differenze importanti in termine di titolo (dal 68% al 119%) tra i 12 biosimilari (di 5 diversi fabbricanti) presenti sul mercato brasiliano.

Il problema della qualità di un farmaco biosimilare e della sua riproducibilità è stata ripresa nell’intervento di Fausto Vellani (Cerbios Pharma, Svizzera) che ha affrontato il tema dell’applicazione delle GMP nella fabbricazione dei biosimilari. In particolare è stato evidenziato come, nel caso di prodotti di biotecnologia, “il processo corrisponde al prodotto” , in quanto è molto difficile una purificazione, possibile nel caso dei principi attivi chimici. Questa impostazione comporta uno stretto controllo dei parametri di processo e una loro valutazione con un approccio basato sull’analisi del rischio. Altro elemento critico è rappresentato da controllo della potenziale contaminazione microbica o virale, tenuto conto delle modalità di esecuzione del processo che contempla l’uso di terreni per la crescita cellulare.

Al termine degli interventi, è seguita una tavola rotonda moderata da Maria Luisa Nolli (Areta International, Gerenzano, VA) e con la partecipazione, oltre ai relatori della sessione, anche di Alberto Bernareggi (IBSA, Svizzera) che ha aperto la discussione stimolando la discussione sul fatto che l’interpretazione degli enti regolatori sugli API biosimilari sia ancora contraddittoria tanto da giungere al paradosso che uno stesso principio attivo sia stato autorizzato in India e non in Europa. Su questo argomento è proceduto il dibattito su che cosa significhi lo sviluppo dei biosimilari, molecole delle quali si può dimostrare al massimo la “similarità” nei confronti dell’originator e il cui sviluppo comporta moltissimo lavoro analitico e comunque fasi cliniche da effettuare prima dell’approvazione dell’immissione in commercio. Si stima infatti che occorrano dai 7 agli 8 anni prima di entrare in commercio con conseguenti costi elevati da sostenere. Questo fa sì che lo sviluppo di biosimilari potrà essere portato avanti essenzialmente da aziende che possono permettersi questi costi.